Fastway – Eat Dog Eat

Ci sono album che non hanno nessuna intenzione di cambiare il mondo, e neppure di salvarlo (sempre ammesso che una manciata di canzoni possa riuscire in un’impresa tanto eroica). Forse è soltanto questo il motivo per il quale il nuovo disco dei ritrovati Fastway ha suscitato pareri così contrastanti, per poi finire relegato troppo presto nel silenzio più totale, alla stregua di tante inutili uscite che ingolfano il mercato discografico. Ad ascoltarlo tutto d’un fiato, “Eat Dog Eat” sembra infatti uno di quei vecchi long-playing polverosi, confinato negli scaffali di qualche negozio di dischi degli anni Ottanta. In effetti, è proprio quello il periodo dal quale proviene la formazione creata da Edward Allan Clarke, ex chitarrista dei Motörhead, meglio conosciuto con il nomignolo “Fast Eddie”, affibiatogli dal buon vecchio Lemmy in onore del personaggio interpretato da Paul Newman nel film Lo spaccone. I Fastway nacquero in un periodo piuttosto particolare: finita l’epoca d’oro di album come “Bomber” (1979), “Overkill” (1979), “Ace Of Spades” (1980) e “Iron Fist” (1982), il chitarrista inglese decise di fare le valigie e tentare il botto con un progetto tutto suo. L’omonimo esordio del 1983 fruttò al quartetto composto da Clark assieme all’ex bassista degli UFO Pete Way, al batterista Jerry Shirley (proveniente dagli Humble Pie) e al vocalist Dave King, una certa popolarità in America, al punto tale da essere ingaggiato per la colonna sonora del teen-horror Trick or Treat, pellicola di serie B nella quale facevano capolino Ozzy Osbourne e Gene Simmons come guest-star.

A distanza di ventuno (21) anni dall’ultima release di studio (“Bad, Bad Girls”), “Fast Eddie” Clarke riaccende di nuovo i motori e, accompagnato dal vocalist Toby Jepson (impegnato anche al basso e alla sei corde acustica) e dal drummer Matt Eldrige, confeziona dieci tracce nuove di zecca, delle quali si dichiara a dir poco orgoglioso. Per stessa ammissione del chitarrista, “Eat Dog Eat” vuole infatti prendere le distanze da alcuni album patinati e di scarsa qualità pubblicati dalla band in momenti poco felici della carriera, ponendosi in continuità con il sound classico del debut.

Il risultato è ampiamente al di sopra delle aspettative. L’LP è quanto di più genuino il genere possa offrire, ma la qualità delle scrittura in alcuni casi è talmente elevata che è difficile non lasciarsi trascinare dalla dinamica di riff e assoli. Tra i momenti di maggiore rilievo c’è sicuramente la title-track: splendida, con una trascinante seguenza di note rozze e sensuali in apertura che rimandano ai grandiosi sfoghi lussureggianti dei Motörhead, talmente perfetta che avrebbe meritato di trovare spazio su “Ace of Spades” o su qualche altro album storico del trio NWOBM. Fade Out, invece, è contrassegnata da un’atmosfera più malinconica e intimista, con un approccio melodico mai irritante e un ritornello sostenuto da una progressione in stile AC/DC che si insinua gradualmente nelle orecchie dell’ascoltatore. Di spessore notevole anche il blues-rock di Freedom Song e il boogie dal passo incalzante di Leave the Night On, mentre Love I Need chiude in bellezza il full-lenght intonando un blues lento, secco e asciutto.

Anacronistico e fuori dal tempo, “Eat Dog Eat” è soprattutto il tentativo di ricercare un sound “puro”, incontaminato, dettato dalla voglia di riscoprire il lato più efficace e graffiante dell’hard-rock. Non sarà un album epocale, ma trasuda onestà da tutti i pori.

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