Robert Rodriguez – Machete

Ci abbiamo provato. A far finta di niente, a prenderlo come un gioco, a non dargli troppa importanza. Abbiamo cercato di apprezzarne il gusto citazionista, lo spirito scanzonatamente kitsch, il senso del ritmo. Le abbiamo tentate tutte, insomma, ma proprio non ce l’abbiamo fatta ad apprezzarlo, questo Machete.

Piacerà moltissimo ai fan di Rodriguez, ne siamo sicuri. In fondo, qui ci sono tutti gli elementi caratteristici del cinema del texano: fiumi di emoglobina, arti mozzati, teste tagliate, pistoloni, mega-fucili, belle ragazze seminude, eroi taciturni dal passato tormentato, dialoghi ad effetto e svariate violazioni delle leggi della fisica. Il punto è che a coloro i quali chiedono ad una pellicola un minimo di intelligenza, di gusto, di sensibilità artistica e di onestà intellettuale, Machete non potrà che risultare indigesto.

La questione è semplice ed arci-nota e si può riassumere in questo modo: Rodriguez non è Tarantino. E non lo sarà mai. Dal suo maestro non ha ereditato lo straordinario talento di sceneggiatore, il gusto per la destrutturazione del racconto, la capacità di mescolare “segni” di provenienza diversa per far “esplodere” il tradizionale sistema dei generi e l'(auto)ironia feroce, che rende sopportabili anche le scene di violenza più estrema e stronca sul nascere ogni tentativo di prendere troppo sul serio ciò che passa sullo schermo (anche raramente si tratta solo di un divertissement d’autore). Rodriguez, insomma, contrariamente al regista de Le Iene (1992) e Pulp Fiction (1994), non è un postmoderno: è semplicemente un autore di B-movie che crede di essere un postmoderno. Ma in questo suo cinema maschilista, truculento, volgare ed autocompiaciuto, di intellettuale non c’è proprio niente.

“Machete” racconta la storia di un ex-poliziotto federale messicano che, dopo aver visto la propria famiglia sterminata da un narcotrafficante a cui dava la caccia, trova la vendetta e riacquista la libertà. Durante il suo cammino incontra politici corrotti, vigilantes psicopatici, affascinanti pasionarie, poliziotte sexy ed ambiziose e preti-killer. E poi ci sono loro, i poveri immigrati messicani, fatti oggetto di razzismo e crudeltà in un Texas sporco e polveroso. Rodriguez, qui, cerca di sfruttare il tema per dare in pasto al proprio pubblico qualche spunto di critica sociale, ma alla fine il tentativo naufraga nell’ipocrisia e nella più becera esaltazione della violenza: Machete, trasformato dal regista in eroe rivoluzionario, è in realtà solo un brutale macellaio e la “liberazione” messa in scena solo una carneficina da film di serie Z. Il punto è che Rodriguez confonde la giustizia con la vendetta, l’espiazione con l’harakiri, la severità con la crudeltà, l’eroismo con il machismo, il sesso con la pornografia, senza neppure riuscire a farci fare due risate. Danny Trejo, il protagonista, è una maschera monolitica, inespressiva, che biascica a mezza bocca le solite battutacce muscolari da action-movie di terza mano. Non ha spessore, non ha profondità questo eroe rodrigueziano: la sua storia è banale, la sua reazione prevedibile, i suoi gesti ottusamente crudeli, e per questo non riesce proprio a suscitare la benché minima simpatia.

Ci riesce solo il personaggio del senatore (interpretato da un De Niro a mezzo servizio, ma sempre una spanna sopra gli altri), cialtrone, cinico ed opportunista. È a lui che si deve l’unico sussulto veramente divertente del film (la scena in cui, dopo aver accettato di “farsi messicano” sotto la minaccia delle armi della bella Luz e dei suoi desperados, entra azione vestito da immigrato e comincia a far fuoco contro i vigilantes, fino a qualche tempo prima suoi alleati). Per il resto, l’altro momento degno di nota è lo scontro finale tra Machete e Torrez, il narcotrafficante: i due danno vita ad un duello che definire demenziale è un garbato eufemismo, in cui l’eroe trionfa, ma solo perché il cattivo (interpretato da un altro “volto di pietra” del cinema action, Steven Seagal), ad un certo punto, sceglie inopinatamente di suicidarsi, piuttosto che di colpire a morte il suo avversario. E Rodriguez mette in scena tutto questo senza battere ciglio, col piglio sicuro di chi ci crede veramente.

Sui titoli di coda, una voce fuoricampo annuncia, quasi fosse una minaccia, che la pellicola avrà un seguito; stando ai rumors su internet, lo script sarebbe addirittura già pronto. La speranza è che si tratti di notizie infondate e che quello contenuto nel film sia un falso teaser (alla maniera dei fake trailer inseriti in Grindhouse/Planet terror); la sensazione, però, è che Machete kills (questo il titolo del secondo capitolo della saga) si farà. Potremmo provare ad evitare un altro scempio cinematografico, ricordando per l’ennesima volta a Rodriguez di non essere Tarantino. Ma, giunti a questo punto, dubitiamo possa servire a qualcosa…

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie