Hayao Miyazaki – Porco Rosso

Chi conosce Hayao Miyazaki sa due cose riguardo i suoi film: che non arriveranno in Italia prima di qualche anno (dai due de La città incantata ai ventuno de Il mio vicino Totoro) e che il pubblico della sala sarà composto quasi per la maggior parte da adulti.

Chi invece non ha mai visto le sue creazioni dovrà capire una cosa fondamentale: il suo stile non ha nulla a che fare con il tipo di animazione occidentale, quella di disneyana memoria per intenderci. Miyazaki con i suoi inconfondibili disegni riesce a sdoganare le convenzioni comuni, fondendo temi importanti ma spesso considerati anacronistici con storie magiche e misteriose. Così è anche per Porco Rosso, l’ultimo film del maestro arrivato in Italia, uscito in Giappone nel 1992.

La storia ci porta in volo sopra le coste del Mar Mediterraneo, lì dove passa le sue giornate Marco Pagot, pilotando il suo idrovolante rosso con una grazia ed un’abilità uniche, a caccia dei Pirati del Cielo. Porco è il suo soprannome e non è un caso visto che è un uomo con le fattezze di un maiale. A cosa sia dovuta la maledizione che ha colpito Porco non è dato sapersi. Miyazaki lascia allo spettatore il compito di fare delle ipotesi sulla causa di quel rimorso che gli riempie gli occhi ogni qual volta ripensa al suo passato, di cui si riescono a rubare solo le poche informazioni lasciate trapelare dai discorsi fatti con la sua amica Gina. Forse però non è così importante saperne di più. Porco è una figura che non ha niente a che vedere con il ridicolo: è misterioso e solitario, e, come ogni eroe, anche lui ha un amore cui non si abbandona, un avversario da sconfiggere ed una fedele spalla, grazie alla quale, oltre ad un idrovolante riparato, otterrà (forse) anche il riscatto e la libertà dalle ombre del passato.

Miyazaki, nel suo universo dai confini sfumati, in cui i buoni hanno dei lati oscuri ed i cattivi hanno un codice d’onore, inserisce una pennellata decisa, dal colore politico, schierandosi contro il fantasma del fascismo che in quegli anni andava inghiottendo il Bel Paese, dimostrando così che un modo per fare film “impegnati” è proprio quello di fingere di fare film “evasivi” e che, viceversa, una storia surreale per essere veramente tale deve in qualche modo fare riferimento alla realtà.

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