Ci sono ben tre novità in libreria presentate ultimamente da minimum fax: Davide Coltri, Mary McCarthy e William T. Vollmann.
Dov’è casa mia
Storie oltre i confini
di Davide Coltri
Khalat, una giovane curda siriana, lascia la città d’origine per frequentare l’università a Damasco; lo scoppio della guerra civile distrugge i suoi sogni ma non la sua volontà di resistere alla violenza e portare in salvo la famiglia. Anneke è una ragazza danese con un obiettivo molto chiaro: porre la sua vita al servizio dei più deboli; una missione in Darfur la costringe a spingersi oltre il limite dell’altruismo e ad affrontare un nuovo difficile inizio. Théogène, orgoglioso preside di una scuola elementare, rifiuta di accettare i pregiudizi e le superstizioni che dividono in due fazioni la gente del campo profughi in cui si trova. Pagherà il prezzo della sua coerenza insieme alla sposa Rosette.
Queste sono solo alcune delle storie vere che Davide Coltri ha raccolto nel corso del suo lavoro in ambito umanitario, e che testimoniano un presente non ancora condiviso: vite lontane ma al contempo vicinissime, universali.
Dov’è casa mia ci mostra guerre civili e atti di terrorismo ma anche la solidarietà, la resistenza e la speranza di una vita diversa. Con ferocia e delicatezza, Coltri racconta le storie che superano i confini, la casa che si è persa e quella che – ora più che mai – si spera di trovare.
Il gruppo
di Mary McCarthy
Torna in libreria – in una nuova edizione e con una traduzione riveduta e corretta dalla stessa traduttrice – il capolavoro di Mary McCarthy, e a più di cinquant’anni dalla sua pubblicazione è ancora più attuale che mai: un ritratto corale al femminile caustico e feroce, che mette alla berlina il sessismo e le illusorie consolazioni del progresso, raccontando, attraverso una serie di storie individuali, un’intera epoca.
Il «gruppo» del titolo è costituito da otto inseparabili amiche, rigorosamente upper class, compagne di studi al Vassar, prestigioso college femminilie. Dopo la laurea, nel 1933, iniziano tutte a inseguire qualcosa di diverso da ciò che il destino gli ha assegnato, ma collezionano errori e sconfitte. Il romanzo le segue a turno nelle loro vicende erotiche e familiari, che passano attraverso matrimoni poco felici, tradimenti, ma anche scelte sorprendenti e meno convenzionali.
Un’opera affilata, di ampio respiro, in perfetto equilibrio tra satira e tragedia, e un affresco impeccabile dell’America di Roosevelt e del New Deal, sospesa tra sogni di benessere collettivo e il permanere di un classismo spesso brutale.
La camicia di ghiaccio
di William T. Vollmann
Pubblicato nel 1990, La Camicia di Ghiaccio è il primo dei «Sette sogni» dedicati al mito di fondazione americano: un’unica grande opera che appartiene alla zona grigia tra narrativa e storia e che ruota intorno a un solo motivo conduttore: il difficile confronto tra le popolazioni native del Nuovo Mondo e i pionieri giunti dal Vecchio. «Mi hanno sempre interessato le Metamorfosi di Ovidio,» ha dichiarato l’autore, «e da Ovidio ho mutuato l’idea che nel nostro continente si siano succedute diverse ere, ognuna delle quali meno mitica della precedente. Per ragioni poetiche e didattiche ho stabilito che questa successione di epoche andasse suddivisa in sette momenti diversi e che pertanto ci sarebbero stati sette sogni».
La Camicia di Ghiaccio ci porta alle origini stesse del mito americano e al primo impatto dei nativi con esploratori stranieri: i vichinghi, giunti nel continente attorno all’anno Mille. Attingendo alle due grandi saghe nordiche medievali — la Saga dei Groenlandesi e quella di Erik il Rosso — dove si narra dell’accidentale scoperta di una nuova e radiosa terra e del breve quanto fallimentare tentativo di colonizzarla, e a un lavoro di documentazione e ricerca sul posto che lo ha condotto a visitare i siti vichinghi a Terranova, i resti della fattoria di Erik il Rosso in Islanda, le rovine norvegesi in Groenlandia e la vasta distesa ghiacciata dell’Isola di Baffin, Vollmann racconta il segno lasciato dagli invasori bianchi sulla leggendaria Vinland. «Voglio qui raccontare la storia di come venne consumata la rugiada e di come arrivò il gelo» scrive in tono epico, e per l’intero romanzo il ghiaccio diventa metafora di una corruzione sia morale che ambientale, presagio di conflitti razziali e oltraggi alla terra che hanno scandito l’intera storia degli Stati Uniti.