Michelangelo Antonioni – Zabriskie Point

Il 1969 è l’anno di Easy Rider, uno dei film cult divenuti simbolo della cosiddetta “controcultura americana”. Tra gli ammiratori del film, un grande regista europeo: Michelangelo Antonioni. Sulla scia del successo del film di Dennis Hopper, Antonioni ottiene un finanziamento dal produttore MGM per un film ambientato in America, Paese che in quegli anni viveva un clima di contestazione. L’attenzione di Antonioni si sposta dunque dal clima ottimista della Swinging London (rappresentata nel film Blow-up) agli Stati Uniti, ambientando il suo film Zabriskie Point a Los Angeles.

Nella città californiana le proteste studentesche (stimolate dalle lotte per maggiori diritti ai neri) erano, nei tardi anni ’60, particolarmente agitate. L’America è però una nazione poco conosciuta dal regista ferrarese: la critica lo ha accusato di aver dipinto con il suo film un ritratto non accurato e quasi caricaturale degli States. In realtà, Antonioni sembra nuovamente essere stato frainteso nelle intenzioni: al centro del suo film non vi è infatti la controcultura americana, solamente descritta (con perfetto stile documentaristico) nei minuti iniziali, nei quali assistiamo appunto ad un’assemblea di studenti nell’atto di pianificare un’azione non necessariamente pacifica contro la polizia. Il film, spiega il regista, non vuol essere un’opera di denuncia quanto piuttosto «una fantasticheria», una sorta di favola sul mito dell’evasione (dell’on the road americano appunto).

michelangelo-antonioni-set-zabriskie-point

Esile la trama: la testa calda Mark (Frechette) dichiara in assemblea di essere disposto a morire per la causa studentesca, «ma non di noia». Non esita infatti a buttarsi negli scontri; ma la polizia lo accusa di aver ucciso un agente e lui fugge, rubando un piccolo aereo. Il destino lo porta ad incrociarsi con Daria (Halprin), segreteria hippie, anch’essa in fuga dalla città e diretta in una villa sperduta nel deserto del Nevada, su invito del suo capo: in una delle scene più famose del film, Mark fa la conoscenza di Daria planando ripetutamente sulla sua automobile. La forte individualità di questi due giovani alla ricerca di pura evasione e la loro volontà di cambiamento costituiscono il vero oggetto d’interesse per il regista.

Per sentire la lontananza dalla civiltà, nessun luogo è migliore del deserto (luogo topico della filmografia antonioniana) ed è così che i due si fermano nella desolata landa chiamata Zabriskie Point. Prendendo spunto dalla moda degli anni ‘60, Antonioni mette in scena un love-in, trasformando il rapporto sessuale dei due giovani in una sorta di fenomeno collettivo, simbolo di vita (in questa Valle della Morte, quasi presagio di quel che sarà il fato di Mark) e forse simbolo di una rinascita anche culturale, quella di cui l’America avrebbe bisogno, secondo l’ottica del regista (e di una certa generazione “beat”).

Se dunque non si può in toto accusare Antonioni di aver fatto la caricatura agli Stati Uniti, isolandone aspetti definiti non caratterizzanti (la ridondante pubblicità, il razzismo dei negozianti, l’ottusità di poliziotti e studenti), certo è evidente un certo disprezzo nei confronti della plastificata società capitalista (emblematica la figura ricorrente del manichino). La sequenza finale da antologia, immaginata da Daria, può essere letta come un rimando alle teorie marxiste sull’inevitabile fine del capitalismo, di cui l’America costituisce un facile esempio: un’esplosione al ralenty, sulle musiche psichedeliche dei Pink Floyd, distrugge la lussuosa villa nel deserto, scagliando poeticamente in cielo i simboli della società del benessere.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie