David Lynch – Velluto blu

Pochi sono i film capaci di affascinare lo spettatore accompagnandolo dentro un’atmosfera suggestiva, modellata sulla bellezza delle immagini e sui suoni, lasciando alla trama libertà di dedicarsi maggiormente alla digressione, al dettaglio apparentemente insignificante, seguendo il gusto del regista. Così concepisce il cinema un autore come David Lynch: la messa in scena di una suggestione nata nell’inconscio. Ed è proprio a partire dalla pura suggestione che nasce un film come Velluto blu, il cui titolo è assieme un richiamo cromatico (coerente con la simbologia del colore lynchiana) e musicale, riferendosi al brano pop anni ’60 Blue Velvet, composto da Bobby Vinton.

Velluto blu è uno dei film più accessibili di Lynch ed è il primo a riunire tutte le caratteristiche stilistiche e tematiche che saranno una costante del suo cinema: risaltano la centralità della femme fatale (nella forma di un divismo “maledetto”) e la presentazione di spazi avvolti di mistero, nei quali agiscono personaggi surreali o grotteschi. Questi luoghi sono testimonianza di un mondo oscuro, celato sotto le coltri di una realtà idillica come appunto quella della piccola comunità americana di Lumbertown (in essa si può vedere un’anticipazione dell’ambigua Twin Peaks): anche sotto coltri “di velluto” si celano turpitudini. Come di solito accade nel cinema di Lynch, l’utopia non è destinata a durare, pressata dall’onnipresente Male che non risparmia nemmeno l’ottimista società reaganiana: il regista lo rappresenta nel film con un efficace zoom iniziale che, partendo dall’immagine del curato giardino di una villetta suburbana, finisce col mostrarci il suolo, infestato da una miriade di insetti brulicanti.

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Assiste alla rottura di questo idillio il giovane Jeffrey (Kyle MacLachlan), trovando per caso i resti decomposti di un orecchio umano. Jeffrey informa la polizia ma parallelamente porta avanti una sua personale indagine, con l’aiuto dell’amica Sandy (Laura Dern). Tramite il padre detective lei riesce ad ottenere il nome di una donna coinvolta, la cantante Dorothy Vallens (Isabella Rossellini). Al centro del film c’è la grande curiosità di Jeffrey, che lo spinge fino all’appartamento di lei. Qui è però costretto a nascondersi in un guardaroba, dopo l’arrivo di un uomo dall’atteggiamento ostile: condividendo con lo spettatore il ruolo di voyeurista, Jeffrey assiste ad atti di violenza fisica contro la donna, visioni che lo spingono ad interessarsi al destino di Dorothy avvicinandolo così ad una della tante incarnazioni del Male presenti nella filmografia lynchiana, lo psicotico Frank Booth (tra i migliori ruoli di Dennis Hopper).

Si tratta di una figura diabolica e allo stesso paterna (costringe Dorothy a chiamarlo “papà”), lasciando il suo personaggio aperto ad interpretazioni di tipo psicologico/freudiano che lo vedrebbero come sostituto della figura paterna di Jeffrey, il cui padre reale è colto da infarto. Luogo di questa crudele manifestazione è l’appartamento di Dorothy, descritto dal critico Slavoj Žižek come «uno di quei luoghi infernali che abbondano nei film di David Lynch. Un luogo dove ogni inibizione morale o sociale sembra essere sospesa, dove ogni cosa è possibile».

Vero classico del cinema thriller moderno,Velluto blu associa elegantemente la peculiare estetica lynchiana (che include le belle e malinconiche musiche di Angelo Badalamenti) ai canoni del cosiddetto neo-noir, trasportando lo spettatore in un’atmosfera un po’ hitchcockiana e onirica, nella quale la dimensione del sogno è costantemente minacciata da quella dell’incubo.

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