Con la lingua in punta di desiderio: Stanley Kubrick e Lolita

«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia, Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo.Li.Ta. Era Lo, semplicemente Lo la mattina, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores nella linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita».

La storia di Lolita di Stanley Kubrick è lunga e travagliata. Vladimir Nabokov – autore del romanzo omonimo – collaborò con il regista alla sceneggiatura, incontrando le medesime difficoltà legate al Production code (in vigore già dagli anni Trenta), il quale prevedeva una serie di norme volte a tutelare la “moralità” degli spettatori, da idee ritenute non conformi alla linea di condotta generale.  Le immagini non dovevano offendere la moralità del pubblico, dovevano rispecchiare uno standard di vita “normale”, volto al divertimento e alla commedia; infine, la legge umana o naturale non doveva venire ridicolizzata.

James Mason, Stanley Kubrick, Sue Lyon
James Mason, Stanley Kubrick, Sue Lyon

In un certo “magico modo” Lolita iniziava con Annabel, il primo grande amore di Humbert, che l’uomo conosce da ragazzo durante una vacanza in Costa Azzurra. Se ne innamora come solo gli adolescenti possono innamorarsi, ossia follemente. Peccato che l’amata muoia improvvisamente di tifo a Corfù, gettando il giovane Humbert nella disperazione. L’immagine di Annabel resta “congelata” nella mente del protagonista, che non riesce a liberarsi dall’idea di quella ragazza neanche crescendo: un trauma che, da adulto, gli impedisce di amare le sue coetanee. Ma lui non è pazzo, anzi è lucidissimo: si rende conto che le sue pulsioni sono contro natura e cerca di nasconderle con un matrimonio che, però, fallisce miseramente.
A questo punto Humbert, stimato professore di letteratura in Europa, decide di trasferirsi negli Stati Uniti, nella piccola cittadina di Ramsdale. Tutta questa prima parte, presente nel libro, è totalmente assente nel film di Kubrick – in questo caso, più per una questione di tempi cinematografici -, che introduce un Humbert già adulto (interpretato dall’attore James Mason), generando un vuoto rispetto al libro e sopprimendo la causa scatenante della nevrosi di Humbert. Rispetto al romanzo, quindi, c’è già un impoverimento, che proseguirà per tutta la pellicola con l’assenza di importanti scene-chiave a sfondo erotico, tagliate per ovvi motivi di censura. Lo scheletro della storia, l’intreccio di base, è tuttavia abbastanza fedele: Humbert incontra Lolita, decide di averla e per agire indisturbato ne sposa la madre, la vedova Charlotte Haze, che muore in un incidente dopo aver scoperto casualmente il vero motivo per cui il professore aveva deciso di prenderla in moglie. A questo punto Humbert inizia un lungo viaggio per gli Stati Uniti con Lolita, con cui inizia una relazione. Nel frattempo, nella storia si inserisce l’oscuro commediografo Clare Quilty, che nel rapporto tra Humbert e Lolita giocherà un ruolo fondamentale.
Jeremy Irons e Dominique Swain
Jeremy Irons e Dominique Swain

Il remake di Adrian Lyne del ’97 non fu sottoposto alle castranti restrizioni che penalizzarono Kubrick trentacinque anni prima – anche se lo stesso Lyne incontrò non poche difficoltà in merito alla distribuzione nelle sale -, tanto che la relazione sessuale fra Humbert (Jeremy Irons) e Lolita è piuttosto esplicita. Contrariamente alle opinioni diffuse sui remake, Lyne ne realizzò uno di eccellente qualità, con un cast di attori decisamente convincente, dal sempre bravo Irons a Melanie Griffith (l’isterica signora Haze). Per la verità, all’inizio Irons non era interessato al ruolo, proprio per i contenuti del film e per la perversione associata al personaggio di Humbert: furono le insistenze di Lyne a convincerlo e, in seguito, l’attore cambiò radicalmente opinione su Humbert, definendo con entusiasmo Lolita una storia di amore, sofferenza e gelosia.
Tornando a Kubrick, se nel suo film il pathos erotico ed emotivo è davvero ridotto all’osso, è da riconoscere invece al regista la perfetta riuscita di Clare Quilty (un grande Peter Sellers, il cui istrionismo troverà piena realizzazione nel Dottor Stranamore) come alter ego di Humbert: il commediografo compare sempre come un’ombra che, quasi per sbaglio, si ritrova a gettare una rapida e svogliata occhiata alla comédie humaine in cui Humbert e Lolita si muovono. Quilty è una specie di Mr Hyde, dominato dalle stesse pulsioni di Humbert, ma molto meno restio a nasconderle: seduce Lolita per poi abbandonarla, mentre Humbert, in un certo tragico e folle senso, ama Lolita («Insisto perché il mondo sappia quanto amavo la mia Lolita, quella Lolita pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro, ma sempre con gli occhi grigi […] sempre mia»).
Infine, uno dei punti di forza di tutta la filmografia di Kubrick, Lolita compreso, è nella fotografia. Ricordiamo che, prima di essere regista, Kubrick fu un fotografo: a tredici anni il padre gli regalò la sua prima macchina fotografica e l’amicizia con il coetaneo Marvin Traub, proprietario di una camera oscura, fece il resto. Da segnalare il lavoro con Look, un’importante rivista, nata nel ’37 e che chiuse le sue pubblicazioni nel ’71, per la quale Kubrick realizzò foto singole oltre che vere e proprie storie fotografiche (quello che oggi chiameremo fotoromanzo). In tutti i lungometraggi di Kubrick c’è una cura maniacale per l’inquadratura, la luce, la giusta angolazione: i suoi lavori sono, prima di tutto, da guardare attentamente, cogliendo l’abilità nel catturare ambiente e personaggi. In questo modo, Lolita nel giardino di casa Haze diventa uno spettacolo indimenticabile, per sempre impresso nella mente di Humbert (che lì la vede per la prima volta), oltre che nella memoria degli spettatori.

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