Se dovessi spiegare a qualcuno cosa vuol dire essere giornalista e scrittore nel 2016, gli consiglierei di leggere A Calais, un piccolo gioiello di reportage che Emmanuel Carrère ha pubblicato nella primavera di quest’anno per il trimestrale XXI, e che in Italia è uscito in contemporanea per Adelphi.
Nella scrittura di Carrère c’è dentro tutto: la capacità acuta di osservare il mondo e scegliere su cosa posare la lente di ingrandimento, l’abilità di decidere di volta in volta quale struttura narrativa usare, la straordinaria tendenza ad aumentare o diminuire il distacco tra la realtà e la finzione, tra oggettività e soggettività, tra giornalismo e letteratura; di muoversi all’interno di quella che tecnicamente, insomma, viene chiamata non-fiction novel. Certo che di finzione, in A Calais, ce n’è davvero poca, perché in quella città della Francia esiste davvero un inferno di miseria, di fame e fango dove sopravvivono a stento migliaia di immigrati: sono donne, uomini e bambini che provengono dalla Siria, dal Sudan, dall’Afghanistan; sono coloro che scappano dalla guerra in cerca di un futuro; quelli che di notte rischiano la loro vita cercando di attraversare il canale della Manica per raggiungere l’Inghilterra; sono quelli che spesso si devono fermare; sono quelli che sono odiati dalla gente del posto.
Carrère, però, gira solo attorno a tutto questo, ben consapevole che raccontare dei migranti vorrebbe dire non avere più nulla di cui scrivere, che «non ci sarebbe più spazio per nient’altro». Intorno a quella Giungla c’è comunque un mondo di cui parlare, e per descriverla, quella Giungla, Carrère descrive tutto il resto: la gente spaventata di Calais e pronta a votare per il Front National, indurita dalla crisi economica di questi anni; i volontari «democratici e di sinistra» che cercano di aiutare i migranti; le battaglie continue tra quei migranti e la polizia, in quello che lui chiama «videogioco postapocalittico»; e poi ancora i media; il dolore; la sciocca curiosità di chi va lì solo per vedere.
A Calais diventa per Carrère lo spazio del giornalismo più puro, della narrazione fluida che non lascia spazio al giudizio personale, ma solo a quello del lettore. In tutto questo c’è lo sguardo allo stesso tempo interno ed esterno alla vicenda, allo stesso tempo pieno di empatia e di ironia; allo stesso tempo curioso ed efficace, sicuro e pieno di dubbi; perché la curiosità è la prima dote per un cronista, ciò che non deve mai mancare a chi vuole descrivere il mondo; perché ogni storia è la scoperta anche di un pezzo di se stesso. Questo fa Carrère da anni, e questo fa anche con A Calais, un piccolo libro che in fondo è un articolo, che racchiude in sé un pezzo di storia di questo millennio, che contiene tante piccole-grandi storie di viaggio, di sofferenza, di attesa.
9788845931147