Jim Jarmusch – Solo gli amanti sopravvivono

Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch è un film che, pensandoci bene, costituisce un punto di arrivo perfettamente coerente con quanto il regista ha voluto rappresentare dagli esordi fino a quest’ultima opera, lungo l’intera sua filmografia. Infatti, nonostante la varietà delle situazioni e dei generi affrontati nei suoi film, è certo possibile individuare una linea estetica dominante, linea che il regista traccia con costanza e che scorre parallela su una serie di binari differenti, sapientemente intrecciati in un percorso estetico tra i più originali del cinema indipendente americano contemporaneo. Nel caso specifico del film di cui parliamo, sono tre le presenze ad essere rievocate ancora una volta da Jarmusch: una è la onnipresente protagonista dei suoi film, la musica; ad essa si accosta un luogo, ovvero la notte, ed una figura, quella dell’emarginato.

È in particolare da queste due ultime presenze che possiamo giustificare la premessa iniziale: perché Solo gli amanti sopravvivono si presenta, almeno in superficie, come un film di vampiri. E cos’è un vampiro, se non la creatura della notte emarginata per eccellenza? Ma lungi dal cedere alla facile quanto abusata rappresentazione del vampiro predatore e dominante della tradizione gotica, o a quello “alternativo” e improbabile diffuso da certa letteratura di consumo negli ultimi anni, Jarmusch costruisce i suoi vampiri sul modello del dandy ottocentesco, vittime più dell’ennui trasmesso loro dal deludente mondo circostante che della sete di sangue.

Riflettono perfettamente questa descrizione Adam (Tom Hiddleston) e Eve (Tilda Swinton), gli amanti del titolo, creature immortali che hanno mantenuto saldo il loro amore nel corso di molti secoli, nonostante si siano ritrovati nel nuovo millennio a vivere distanziati e assumendo stili di vita diversi: lui abita in un appartamento dismesso di Detroit e passa le notti a comporre musica funebre sperimentale (che però si rifiuta di rilasciare nell’ambiente underground, a causa del disprezzo che prova nei confronti degli ascoltatori umani), investendo gran parte del proprio denaro nell’acquisto di strumenti musicali rari; lei d’altro canto vive nell’esotica atmosfera marocchina di Tangeri, trascorrendo il tempo leggendo i grandi capolavori della letteratura di ogni epoca e discorrendo con un altro vampiro, l’anziano Christopher Marlowe (John Hurt).

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Eve, preoccupata per la salute del suo amato, lascia Tangeri con un volo notturno e il film racconta l’incontro dei due amanti millenari a Detroit. Qui i vampiri condividono momenti di stanco eppure concreto affetto, rinunciando ad andare a caccia di prede umane (bevono piccole dosi di sangue illecitamente comprato da un ospedale), come forse ci si aspetterebbe da loro. Passano le notti nella noia e rievocando memorie del loro sconfinato passato, almeno fino a quando il loro pacifico stile di vita bohémien non viene interrotto dall’arrivo della sorella di Eve, Eva (Mia Wasikowska), una “giovane” vampira frenetica e impertinente, preda di una sete insaziabile che i due adulti si sforzano di controllare.

In un mondo popolato da vuoti zombie (così i vampiri etichettano gli umani), i non-morti protagonisti del film sembrano costituire una sorta di modello per una migliore umanità: nonostante il mondo stia vivendo un’epoca di decadenza (morale, artistica, umana) essi sono creature ancora capaci di (soprav)vivere, assimilando con parsimonia una linfa vitale che, come il mondo contemporaneo, si sta gradualmente corrompendo, diventando veleno. La notte tanta cara a Jarmusch diventa allora una sorta di coordinata cronologica della storia dell’uomo, segnando l’inizio di una nuova era di crisi che, agli occhi dei due immortali Adam ed Eve, sembra essere il preludio di una incombente apocalisse.

Lontani, come dicevamo, dal modello tradizionale del vampiro maledetto massima espressione della volontà di potenza, le creature del racconto gotico postmoderno di Jarmusch sono demoni decadenti (Adam considera il suicidio e dichiara di sentirsi «come la sabbia sul fondo di una clessidra»), spettri di un’umanità grande che ormai riposa nell’oblio. Ma il messaggio finale del film è tutt’altro che ottusamente nichilista ed invita anzi alla resistenza: la sopravvivenza è cioè possibile, attraverso la comprensione di alcuni importanti significati, quali la concretezza dei sentimenti, e la conservazione della propria individualità, contro il conformismo “zombificante” verso il quale siamo sospinti dalla società contemporanea.

Durata
123 min. minuti
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