László Nemes racconta la Shoah ne “Il figlio di Saul”

Insieme a Il labirinto del silenzio (candidato per la Germania), questo mese uscirà nelle sale italiane anche Il figlio di Saul, candidato ungherese all’Oscar 2016 per il miglior film straniero. La pellicola sarà al cinema dal 21 gennaio.
Diretto dall’ungherese László Nemes, il film ha come protagonista Saul, appunto, nome che richiama la Bibbia e, nello specifico, il primo re d’Israele, membro della tribù di Beniamino. Nella pellicola Saul è un ebreo ungherese rinchiuso ad Auschwitz. Ma non solo: egli è un Sonderkommando, termine che indica i prigionieri nei campi di sterminio costretti a collaborare con i nazisti.

Migliaia di ebrei vengono spediti alle docce, dove trovano la morte: tra quelle vittime c’è un ragazzo, che Saul crede essere suo figlio (e, forse, lo è veramente). Il giovane sopravvive alle docce, ma viene subito dopo ammazzato. Da quel momento, Saul farà di tutto per nascondere il corpo, per non bruciarlo e dargli degna sepoltura.
I Sonderkommando erano ebrei di robusta costituzione fisica, separati dagli altri prigionieri, impiegati nei lavori più duri, messi al corrente di quanto accadeva ai deportati e nella condizione di non rivelare nulla a riguardo: pur ricevendo un trattamento migliore, la loro sorte non era poi così diversa da coloro che aiutavano ad uccidere, in quanto l’aspettativa di vita era più lunga di appena qualche mese.
Alcuni Sonderkommando optarono per il suicidio, altri reagirono con apatia all’orrore, eseguendo il proprio compito come automi: non c’era possibilità di scelta per chi veniva selezionato per l’ingrato compito, poiché, in caso di rifiuto, l’alternativa immediata era la morte. Rimuovere i cadaveri dalle docce, estrarre eventuali denti d’oro dai corpi, pulire le camere a gas, trasportare e bruciare nei forni i corpi e, in seguito, disperdere le ceneri: ecco il destino dei Sonderkommando.
Il figlio di Saul segna l’esordio alla regia di Nemes, il quale, in passato, è stato collaboratore di Bela Tarr. «Cinquecento mila ungheresi sono stati uccisi in poche settimane nel ’44. Io credo che quello che è accaduto non si possa dimenticare. Il passato è ancora vivo, gli ungheresi vivono ancora questo trauma» ha dichiarato Nemes.

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