"Land of mine", quando i carnefici si trasformano in vittime

Ha fatto molto (e bene, è addirittura stato inserito tra i dieci film più belli del 2015) parlare di sé alla Festa del cinema di Roma Land of mine, per il quale si potrebbe già sentire un forte odore di Oscar, se non fosse che A War (Krigen) è già stato scelto per rappresentare la Danimarca all’edizione 2016 dei premi. Il regista di Land of mine è Martin Zandvliet, il quale ci racconta una pagina sconosciuta (in realtà per la Danimarca stessa) di Storia europea.

Siamo nel ’45, la guerra è finita e il Paese liberato. Un gruppo di tedeschi fatti prigionieri (in realtà soldati giovanissimi, dei ragazzini) vengono condotti sulle coste danesi, dove sono sepolte circa due milioni di mine antiuomo, piazzate lì proprio dai nazisti convinti che gli Alleati avrebbero scelto il Nord Europa per lo sbarco. Quei soldati tedeschi vennero addestrati allo sminamento, costretti dal governo danese a intercettare quelle bombe e a disinnescarle.

Il regista pone l’accento sul lato umano di quei soldati: fieri, orgogliosi, come solo i giovani possono essere; ma anche soli, spaventati, con la voglia di togliersi quella divisa e tornare nelle loro case. Zandvliet coniuga verità storica e dramma, capovolge la Storia, trasformando i carnefici in vittime: la maggior parte di loro subì orrende mutilazioni, alcuni persero la vita in quella che fu una sorta di vendetta nazionale, contro, però, dei ragazzi perlopiù minorenni che allora rappresentavano l’ultima speranza del Reich ormai sconfitto.

Non è stata ancora fissata una data di uscita nei cinema italiani della pellicola, ma il titolo è certamente da tenere d’occhio. Nel frattempo, ci guardiamo un intervento del regista al TIFF (anche in quell’occasione Land of mine è stato accolto molto positivamente):

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