David Gilmour – Arena di Verona (14 settembre 2015)

Mezz’ora di concerto, e già arriva il gancio destro: «So, so you think you can tell / Heaven from Hell, / Blue sky’s from pain». I ventimila dell’Arena di Verona, colti di sorpresa, esplodono in un boato: David Gilmour è lì in piedi davanti a loro, e sta eseguendo Wish you were here.

E pensare che era iniziata piano, la serata, e nel modo più prevedibile possibile, con tre tracce da Rattle that lock, il nuovo disco solista del chitarrista inglese. Lo strumentale 5 A.M., la trasciante title-track e la folk ballad Faces of stone avevano dato il benvenuto ad un pubblico già carico, festante, pronto ad inneggiare a Gilmour con un autentico tifo da stadio. Poi arriva Wish you were here e realizzi cosa effettivamente stai vedendo, chi hai di fronte. Persino il tizio delle birre si ferma per un istante, incredulo: la sua faccia dice “questa l’ho già sentita da qualche parte”, ed è così, perché Gilmour e i Pink Floyd ce li abbiamo tutti nel sangue. Money, Us and them e High hopes (con un assolo strepitoso di pedal steel), ovvero le altre tre gemme dei Floyd incluse nella prima parte del live, le cantano anche quelli che non le sanno. Diverso è il discorso con i pezzi solisti: The blue (da On an island, 2006), A boat lies waiting (toccante omaggio al tastierista dei Pink Floyd, Richard Wright, scomparso nel 2008) e In any tongue non sfigurano, ma ovviamente il pubblico dell’Arena, pur se rispettoso e prodigo di applausi, vuole altro.

Fine prima parte. Stop di 15 minuti, poi si riprende. E come? Con un pezzo leggendario, Astronomy domine, che rimanda ad un’epoca in cui i Pink Floyd erano altro, erano il veicolo interstellare di Syd Barrett. Eh già, il Diamante Pazzo: lo stesso omaggiato in Shine on you crazy diamond (Parts I-V), accolta da un altro boato di sorpresa – troppo grande, importante, per essere “vera”, cioè live, lì, all’Arena. L’arpeggio dolente ed epico di Gilmour, il ritornello cantato in coro col pubblico, il solo finale di sax: c’è tutto. Anche Fat old sun, Sorrow (altro assolo di Gilmour da manuale) e Run like hell (potente ed ipnotica) toccano i tasti giusti, guadagnando applausi e ovazioni. Bella anche On an island; da Rattle that lock vengono proposti il bello strumentale Today e The girl in the yellow dress, un brano jazzato che rimane l’unico punto veramente debole del set perché quasi fuori contesto.

Come da rito, Gilmour e la sua band (Phil Manzanera alla chitarra, Guy Pratt al basso, Steve DiStanislao alla batteria, Theo Travis al sax, Kevin MacAlea alle tastiere, Bryan Chambers e Louise Marshall ai cori) si ritirano nei camerini. Pochi minuti dopo, acclamati, tornano sul palco e mettono in fila una tripletta da brividi: Time, Breathe (reprise) e, gran finale, Comfortably numb, con la chitarra di Gilmour che satura il cielo sopra Verona di fraseggi “delicati come tuoni”. La chiusura perfetta (malgrado la pessima organizzazione di Live Nation: code di un’ora per entrare e gente accampata anche sulle vie di fuga) di una serata che i ventimila dell’Arena non potranno mai dimenticare.

Pictures from David’s concert (and the soundcheck during the afternoon) of September 14th 2015, at the Arena di Verona.

Posted by David Gilmour on Lunedì 14 settembre 2015

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