Katsuhiro Ōtomo – Akira

Pietra miliare del cinema d’animazione giapponese, l’anime Akira è il capolavoro di Katsuhiro Otomo, tratto dal manga da lui stesso creato negli anni ’80. Il film, che condensa i vari volumi del fumetto in appena due ore di pellicola, è riuscito a portare sotto l’attenzione della critica occidentale l’arte dell’animazione orientale. Un’arte, quella dell’anime, peculiare sia nelle forme che nelle tematiche: opere come Akira non rientrano certo nei canoni tradizionali dell’animazione occidentale (di matrice disneyana), il cui target primario resta il pubblico dei giovanissimi. La creazione di Otomo vede piuttosto nell’adulto il bersaglio per il messaggio che intende trasmettere e per raggiungere il suo fine sceglie come mezzo il suggestivo canale della fantascienza di tipo distopico, combinata ad un’estetica cyberpunk (secondo la moda di quegli anni).

 

La trama si svolge nella città di Neo-Tokyo, costruita sulle ceneri della vecchia capitale dopo che questa è stata distrutta in un evento apocalittico (“Terza guerra mondiale”). La foresta urbana di imponenti grattacieli nasconde ai suoi piedi una società caotica, governata da una classe politica corrotta osteggiata da un gruppo di terroristi. Le infinite arterie stradali della capitale costituiscono un organismo malato, la cui linfa è costituita da una continua ondata di violenza e da diffuse forme di piccola criminalità. In questo ecosistema, “risorto” eppure già morente, vivono i giovani Kaneda e Tetsuo, componenti di una banda di motociclisti delinquenti capitanata da Kaneda. Durante uno scontro con una gang nemica, Tetsuo perde il controllo della moto andando a scontrarsi con uno strano bambino dall’aspetto invecchiato: si tratta di un telepate, rimasto illeso grazie al suo potere. Tetsuo e il bambino, Takashi, vengono subito recuperati dall’esercito che sottopone Tetsuo ad alcuni esperimenti, il risultato dei quali dimostra la sua stessa natura telepatica.

 

Solo le sfere governative sono al corrente dell’esistenza di tale potere, eppure vi sono bizzarri culti urbani dedicati alla figura del leggendario Akira, telepate dotato di una potenza così estrema che si pensa sia stato la causa della distruzione stessa di Tokyo. Le spoglie di Akira sono tenute sotto stretto controllo dai militari, ma sarà lo stesso Tetsuo, presa coscienza del suo proprio potenziale distruttivo, a ricondurre il mondo sulla soglia di un altro conflitto, cadendo vittima del potere e della sua natura umana, che lo porta a cercare rivalsa contro tutti coloro che in passato si sono approfittati della sua debolezza. Incluso l’amico Kaneda, odiato a causa dell’atteggiamento troppo iperprotettivo nei suoi confronti.

 

 

Akira è certo anche una pellicola d’azione, fatta di inseguimenti, attentati e scontri degni della migliore fantascienza epica. Ma siamo di fronte ad un film tutt’altro che superficiale: ogni scena d’azione vuole essere la rappresentazione del caos, che ha le sue radici nel grande conflitto iniziale, nel quale è facile scorgere lo spettro di Hiroshima e Nagasaki, le città giapponesi diventate sinonimo dell’olocausto nucleare. La società di Akira non è dunque così lontana dalla nostra: Tetsuo e Kaneda rispettano il modello dei Bōsōzoku, termine che indica bande motorizzate di giovani teppisti giapponesi.

 

Tra sottocultura giovanile e controcultura (rappresentata dalla cellula terroristica), Otomo inserisce il fondamentale discorso sulla scienza e i suoi usi in questa contemporaneità malata: gli scienziati di Akira si lasciano trascinare da spinte fanatiche, ottenendo risultati che difficilmente definiremmo “progresso”. In definitiva, l’opera di Otomo si inserisce a pieno titolo nella tradizione distopica contemporanea, mescolando tematiche care ad autori quali lo scrittore Ballard (profeta di società del degrado), il regista Cronenberg (l’orrenda mutazione del semi-divino Tetsuo ricorda gli esiti del suo body-horror) e il Gibson autore di Neuromante (romanzo capostipite del cyberpunk).

 

 

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