“I will follow”: guida ragionata ai migliori brani degli U2

Nessuno è capace di smuovere in egual misura amore ed odio come gli U2. Interpreti genuini e passionali di un rock di ascendenza new-wave intriso di gospel ed elettronica? O predicatori da strapazzo, buoni per arringare folle in cerca di facili redenzioni ma banali compositori?

Certo, negli ultimi anni la forma di Bono (Paul David Hewson), The Edge (David Howell Evans), Adam Clayton e Larry Mullen Jr. è apparsa un po’ appannata. Dischi “conservatori” (All that you can’t leave behind, How to dismantle an atomic bomb) ed eccessivamente “lavorati” (No line on the horizon), oltre che un impegno politico fin troppo sbandierato, capace di mettere in secondo piano la musica, non hanno aiutato a rinverdire l’immagine della band tra i più giovani. Neppure le modalità di distribuzione dell’ultimo album, Songs of innocence, sono state azzeccate, e sono valse agli U2 l’accusa di opportunismo.

Però una band che ha nel repertorio pezzi come With or without you, Pride, Sunday bloody sunday, One, Even better than the real thing e Discothèque, giusto per citarne qualcuno, merita sicuramente più considerazione. Soprattutto perchè, nei casi migliori, si tratta di pezzi che testimoniano un’interesse genuino per la novità, la sperimentazione di suoni e formati; in quelli peggiori, sono animati da una passionalità viscerale che ha pochi eguali nel rock.

Troppo facile, insomma, derubricare gli U2 a rappresentati pomposi dell’arena rock. In occasione dei 55 anni di Bono, ecco una playlist con un brano per album: un’occasione per riscoprire il talento di una band che tanto ha dato al pop-rock contemporaneo.

I will follow (Boy, 1980)

Uno dei primi classici degli U2. Il pezzo fu scritto in tre settimane, prima dell’inizio delle session di Boy, l’album di debutto. Bono ha dichiarato di aver compsoto il testo di I will follow dalla prospettiva della madre: il pezzo parla dell’amore che si può nutrire per il proprio figlio. A dimostrazione dell’importanza della canzone nella carriera degli U2 c’è il fatto che è stata suonata praticamente in tutti i tour della band.

Gloria (October, 1981)

All’epoca della pubblicazione del secondo album, Bono era in un periodo di crisi. Per questo scrive Gloria, brano caratterizzato da un’intensità religiosa che da sempre è il marchio di fabbrica degli U2. Il pezzo (che all’inizio non conobbe grande successo, come tutto October, salvo poi diventare un classico) contiene anche una citazione in latino della liturgia Gloria in excelsis Deo.

Sunday bloody Sunday (War, 1983)

Uno dei pezzi più vibranti ed emotivamente coinvolgenti della storia del rock, grazie all’incedere marziale della sezione ritmica e al solito lavoro preziosissimo di The Edge. Sunday bloody Sunday è ispirata ad un doloroso fatto di cronaca: il 30 gennaio 1972 a Derry, Irlanda del Nord, l’esercito inglese sparò sui partecipanti a una manifestazione e uccise quattordici civili disarmati, ferendone altrettanti.

Pride (in the name of love) (The unforgettable fire, 1984)

Pride (in the name of love) è il primo singolo tratto da The unforgettable fire, il disco della prima svolta degli U2. Sotto la guida di Brian Eno, co-produttore assieme a Daniel Lanois, la band abbandona la ruvidezza del post-punk degli esordi in favore di un sound più stratificato e complesso. Pride (in the name of love) è un tributo a Martin Luther King (a cui gli U2, nello stesso album, dedicarono anche MLK). In origine, la canzone parlava di Reagan, dal momento che il Presidente USA era un uomo molto orgoglioso. Bono cambia poi il testo perché a suo dire Reagan non meritava una canzone. Curiosità: il verso che fa riferimento all’assassinio di King («Early morning, April 4 / Shot rings out in the Memphis sky») contiene un errore storico, perché l’assassinio avvenne intorno alle 19.

With or without you (The Joshua tree, 1987)

Se c’è un disco che più degli altri identifica gli U2, quello è probabilmente The Joshua tree. Prodotto ancora da Brian Eno, è l’album che porta a maturazione il sound della band irlandese. With or without you chiude il trittico d’apertura, composto da Where the streets have no name e I still haven’t found what I’m looking for. Il pezzo stratifica in modo perfetto chitarre ed elettronica e dispiega lentamente tutta la sua forza emotiva, con Bono che si strugge per la fine di un amore o in preda ad estasi mistica.

Desire (Rattle and hum, 1988)

Desire è uno degli inediti contenuti in Rattle and hum, splendido album del 1988 a metà fra brani di studio e live. È il primo pezzo degli U2 a raggiungere la vetta della classifica inglese, grazie ad un mix ruvido e trascinante di blues, rock e country.

Even better than the real thing (Achtung baby, 1991)

Achtung baby è il disco con cui i detrattori degli U2 (o degli ultimi U2) fanno “terminare” la carriera della band irlandese. All’inizio degli anni ’90, all’apice della fama, Bono e soci decidono di cambiare ancora pelle: irrobustiscono le dosi di elettronica nel sound, che si fa più ballabile, e rifiniscono il sound alla luce del clima “teutonico” (il disco fu registrato fra Dublino e gli studi Hansa Ton di Berlino, quelli del Bowie di Heroes, per intenderci). In Even better than the real thing, oltre alla voce di Bono, svetta la chitarra di The Edge, che, su un pattern ritmico essenziale, si destreggia meravigliosamente tra riff in delay e slide.

Numb (Zooropa, 1993)

Negli U2, Bono è l’autore dei testi e l’interprete dei brani. Di quasi tutti i brani. Perché, per esempio, c’è Numb, il primo estratto da Zooropa, che ha parole e voce di The Edge. Si tratta di un pezzo curioso, che sviluppa ulteriormente le intuizioni di Achtung baby. The Edge si lancia in un simil-rap, con Bono a fargli il controcanto in falsetto. La chitarra è distorta, la sezione ritmica essenziale e groovy; il tocco di classe è un assolo di synth a metà che reca il marchio inconfondibile dell’artefice del nuovo sound degli U2, Brian Eno, produttore assieme a Daniel Lanois.

Miss Sarajevo (Original soundtracks 1, 1995)

Il sodalizio tra gli U2 e Brian Eno negli anni ’90 produce un progetto più sperimentale, i Passenger, titolari di una raccolta di finte colonne sonore, Original soundtracks 1. Il pezzo più celebre del disco è Miss Sarajevo, una ballata evocativa e dolente alla cui incisione partecipò anche Luciano Pavarotti. Del brano esiste anche una splendida cover di George Michael, contenuta nell’album Songs from the last century (1999).

Discothèque (Pop, 1997)

L’attrazione degli U2 per l’elettronica e le sonorità dance-oriented si estremizza in Discothèque, primo singolo estratto da Pop. Titoli che sono tutto un programma: la band, affidandosi alla produzione di Flood, Howie B e Steve Osborne, disorienta i fan con un album che strizza l’occhio alla rave culture e propone soluzioni più sperimentali che in passato. Un tentativo interessante, non troppo apprezzato da critica e pubblico: l’ultimo lavoro coraggioso prima del lento e inesorabile ritorno a sonorità più rock.

Beautiful day (All that you can’t leave behind, 2001)

L’inizio degli anni Zero coincide per gli U2 con un ritorno alle origini. All that you can’t leave behind vira su sonorità rock più classiche, affini al percorso della band pre-Achtung baby. Beautiful day è il simbolo del “nuovo” corso della band, un rock teso e vibrante che diventa rapidamente uno dei massimi successi della band irlandese.

Sometimes you can’t make it on your own (How to dismantle an atomic bomb, 2004)

Questa bella ballad in crescendo è uno dei frutti migliori di How to dismantle an atomic bomb, album da 10 milioni di copie ma dalla fortuna critica controversa. Sometimes you can’t make it on your own è una commovente dedica di Bono al padre, Bob Hewson, scomparso nel 2001. Il video che accompagna il pezzo è stato girato a Dublino e mostra il cantante ripercorrere Cedarwood Road, in cui da bambino abitava con la famiglia. La clip si conclude al Gaiety Theatre, altro omaggio al padre, grande appassionato di opera.

Get on your boots (No line on the horizon, 2009)

Doveva essere Rick Rubin a produrre No line on the horizon, e invece la differenza di approccio tra il leggendario producer (che non voleva modificare troppo il sound degli U2) e la band irlandese (che invece premeva per una svolta) porta ad un cambio di programma. Bono & co. si affidarono ai consolidati Brian Eno, Daniel Lanois e Steve Lillywhite, ma qui il problema è nel manico, in un materiale troppo debole e forse troppo “lavorato”. Nonostante tutto Get on your boots, con le sue interessanti inflessioni beatlesiane, ci mette la grinta e i suoni giusti.

The troubles (Songs of innocence, 2014)

Songs of innocence è probabilmente l’album più contestato di sempre. Fan e non se lo sono trovati nella library di iTunes a seguito di un accordo degli U2 con la Apple: il regalo non è però stato apprezzato, e lo stesso Bono ha dovuto riconoscere che si è trattato di una forzatura. A dispetto di ciò, Songs of innocence rimane però un ottimo lavoro, una raccolta eterogenea ma non dispersiva, con cui gli U2 hanno dimostrato di avere ancora parecchie frecce al loro arco. Tra queste, più che i singoli The miracle (of Joey Ramone) e Every breaking wave, il sinuoso trip-hop orchestrale The troubles, con Lykke Li.

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