Jean-Jacques Annaud – L’ultimo lupo

Il lupo è un animale che ha affascinato gli artisti di ogni epoca, diventando protagonista di grandi opere letterarie (pensiamo a Zanna bianca di Jack London) e di svariati film, che hanno raccontato storie di lupi attraversando diversi generi e intrecciando spesso la vita di questi animali a quella dell’uomo, a volte loro nemico, a volte compagno. Il film di Jean-Jacques Annaud (regista de Il nome della rosa) di cui parliamo, L’ultimo lupo, si colloca pertanto in una tradizione cinematografica già ben consolidata e caratterizzata da varie modalità di racconto: si passa dai toni fiabeschi (“disneyani” per intenderci), che vedono nell’animale una figura simbolica o mitica, a film formalmente più vicini al genere documentaristico (un esempio è il bel docu-drama Mai gridare al lupo).

 

L’opera di Annaud si colloca a metà tra queste tipologie e presenta un importante contesto storico di fondo: il film è infatti tratto dal romanzo best-seller dello scrittore cinese Lu Jiamin, studente di Pechino mandato a istruire una comunità di pastori analfabeti nel cuore della Mongolia, durante gli anni della Rivoluzione culturale di Mao Tse-Tung. Le vicende del film seguono fedelmente il romanzo; quel che viene ridimensionata è invece la critica all’operato del governo cinese nei confronti delle popolazioni mongole, più marcata nel libro che rivela una particolare attenzione agli aspetti politici della missione. Protagonista della storia è un personaggio che funge da alter ego di Lu Jiamin, lo studente Chen Zhen, mandato tra i Mongoli per insegnare il cinese.

 

 

Lo scontro con una realtà così diversa da quella cittadina si fa presto sentire: Chen ignora i consigli dell’anziano capo tribù Bilig ed esplora una strada secondaria, territorio di caccia dei lupi. L’incontro con questi animali fieri e intelligenti spinge Chen a volerli studiare. La sua curiosità lo porta a catturare un cucciolo, che è costretto ad allevare in segreto: l’amministrazione di Pechino ha infatti ordinato alle tribù della zona di uccidere in massa tutti i cuccioli di lupo per evitare la proliferazione della specie, considerata una minaccia per greggi e uomini. Chen non può sfidare l’autorità dei ministri della capitale, ma decide ugualmente di prendersi cura del suo piccolo lupo, salvandolo dal massacro e dalla stessa tribù.

 

L’ultimo lupo racconta una storia in fondo drammatica, quella di una comunità di semplici pastori sottomessi alle rigide norme emanate durante la Rivoluzione culturale. Il regista non nasconde l’eccessiva brutalità di alcuni provvedimenti (su tutte quello che stabiliva lo sterminio delle cucciolate) e mette in primo piano il dolore degli uomini, parallelamente a quello degli animali. Ma il fatto storico costituisce comunque solo un contesto e non sembra essere il vero oggetto del film, come suggeriscono i frequenti primi piani dedicati a Chen Zhen e al suo lupo: ricollegandosi alla tradizione di cui si parlava, L’ultimo lupo ha ancora una volta come protagonista la storia di un rapporto non impossibile tra l’uomo e l’animale selvatico, rapporto nel quale spesso è la bestia a dare lezioni di umanità o, nel caso del lupo, dignità e fierezza. Sostenuto da una buona colonna sonora e da una fotografia ben curata (bellissime le molte inquadrature panoramiche), il film funziona combinando con giusto equilibrio tutti i suoi elementi, senza calcare troppo su toni ingenui favolistici (come spesso avviene nei racconti di animali) e lasciando il giusto spazio al retroscena storico.

 

 

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