Michele Placido – Romanzo criminale

Romanzo e ritratto di una Roma criminale, ai tempi in cui a fare da padrona nella capitale era la Banda della Magliana. Giancarlo De Cataldo ha scritto bellissime pagine su questo gruppo di piccoli delinquenti, destinati a scalare la piramide della malavita fino a tessere importanti rapporti con la mafia, la politica, i servizi segreti e, addirittura, il Vaticano. Qualche anno dopo Michele Placido ha trasposto le parole in immagini, donando un volto al Libanese, al Freddo e al Dandi, i tre principali capi della banda. Personaggi di finzione, che però richiamano persone realmente esistite: Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino ed Enrico De Pedis. Intorno a loro si muovono altrettanti caratteri più o meno secondari, dai compagni a chi li combatte, con il commissario Scialoja in prima linea, che non ci mette molto a capire che negli apparati statali c’è qualcuno che protegge i criminali.

 

La storia inizia con il rapimento del barone Rossellini, per il quale viene richiesto un importante riscatto. È qui che interviene il Libanese (o Libano): perché spartirsi quel denaro, continuare a vivere di piccoli colpi, quando è possibile pensare in grande? Perché non utilizzare quei soldi per mettere in piedi un traffico di eroina e diventare una delle organizzazioni criminali più importanti di Roma? L’idea viene accolta e, in breve, Libano e soci riescono a rimpiazzare i vecchi boss della città, creare importanti legami con Cosa Nostra, espandere la loro influenza nel campo della prostituzione e del gioco d’azzardo. Non è tutto, perché la storia Banda della Magliana è legata in modo indissolubile anche ad alcuni dei più noti episodi di cronaca italiana, dal sequestro e omicidio di Aldo Moro alla Strage di Bologna.

 

 

Un’egemonia lunga circa trent’anni, anche se qualcosa è destinato a spezzarsi. Il Libano è troppo ambizioso, il Dandi troppo spavaldo, mentre il Freddo s’innamora di una brava ragazza di nome Roberta, con la quale vuole cambiare vita. È proprio il Freddo a essere sfavorevole ai rapporti della banda con mafia e politica: non solo non li approva, ma sa che sono pericolosi e che creano vincoli e obblighi impossibili da sciogliere. L’occasione per il Freddo di uscire di scena si presenta, così come la necessità di tornare sui propri passi, perché se c’è qualcosa di difficile da spezzare è l’amicizia che lo lega a individui come il Libano, che, ad un certo punto, si ritrova completamente solo e vittima dei suoi sogni di grandezza.

 

Romanzo criminale è uno dei film più riusciti di Placido, forse il più equilibrato (la stessa cosa non si può dire del suo Vallanzasca, biopic sul leader della Comasina), dove fatti storici e finzione si fondono in caratteri ben costruiti sul piano psicologico, lessicale, fisico (ottima la scelta degli attori, da Pierfrancesco Favino a Kim Rossi Stuart): il regista non giustifica né condanna, ma si limita a presentare i fatti nella loro cruda oggettività, tracciando il profilo di delinquenti ambiziosi ma privi del senso della misura, in bilico sul bordo di un abisso. E, si sa: a forza di eccessi, la caduta prima o poi è inevitabile.

 

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