La Grande guerra: cinque film sul primo conflitto mondiale

«Dulce et decorum est pro patria mori», ovvero è cosa buona e giusta morire per la patria: versi tratti dal poeta latino Orazio ed inclusi, sarcasticamente, nei versi conclusivi di una delle più celebri poesie antimilitariste scritte negli anni della Prima guerra mondiale, intitolata appunto Dulce et decorum est e composta dal poeta britannico Wilfred Owen. Il poeta definisce la frase latina “vecchia bugia”, in riferimento all’assurdo incoraggiamento ed indottrinamento attraverso il quale dovettero passare schiere di giovani soldati, prima di partire per il fronte: gli ingenui sogni di gloria di molti hanno presto lasciato spazio all’orrore, al dolore, alla morte. Non può dunque essere che questo l’aspetto più rappresentato nei film dedicati alla Grande guerra, pellicole che vedono protagonista la brutalità della guerra, quella che in un classico film muto del 1921 significativamente si incarna nelle figure dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse (Pestilenza, Guerra, Conflitto e Morte). In questo possiamo osservare una profonda differenza col cinema, per esempio, dedicato al secondo conflitto mondiale, caratterizzato da film spesso più concentrati sugli aspetti politici dell’evento bellico, oppure ancora su storie fortemente polarizzate (dove la distinzione tra “buoni” e “cattivi” è ben definita) illustrate con una certa spettacolarità, assente nei film dedicati alla prima guerra mondiale: in genere la seconda guerra mondiale al cinema, oltre che essere stata fortemente influenzata dalla propaganda, è stata rappresentata con diverse sfumature, con toni che vanno dal nazionalista al romantico.

Non molto ricco e decisamente più cupo è invece il cinema della Grande guerra, un conflitto che, per la sua estensione, durata e crudeltà (aggiunte all’effetto sorpresa suscitato dalle deluse aspettative di una guerra-lampo, degenerata nel duraturo incubo della trincea) ha assunto globalmente il carattere di sanguinosa e inutile carneficina, così come appunto viene rappresentato nei film ad esso dedicati. Quelli che proponiamo di seguito sono cinque celebri esempi di film sulla Prima guerra mondiale, pellicole utili per mantenere vivo il ricordo degli orrori di questa guerra e, dunque, comprendere a fondo la natura della menzogna: nei film che elenchiamo in seguito, il conflitto rappresentato non è dolce, né onorevole, né giusto.

All’ovest niente di nuovo (1930, regia di Lewis Milestone)

«La storia qui raccontata non è un atto di accusa, né una confessione. Tantomeno si tratta di un’avventura. Per quanti l’hanno vista in faccia, la morte non è un’avventura. Molto più semplicemente abbiamo solo cercato di raccontare la storia di giovani vite che, pur sopravvissute alle bombe, sono rimaste profondamente segnate dagli orrori della guerra.» Milestone, vincitore dell’Oscar alla miglior regia per questo film, è in effetti uno dei cineasti che meglio è riuscito a raccontare gli orrori della Grande guerra, scegliendo di ispirarsi al romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale del veterano tedesco Eric Maria Remarque. Film e romanzo costituiscono una forte critica antimilitarista, mettendo in particolare risalto l’opera di indottrinamento dei giovani studenti tedeschi, incoraggiati ad arruolarsi per la gloria del proprio Paese sotto la spinta dei maestri di scuola, accecati dal senso dell’onore che impedisce loro di vedere quel che veramente è la realtà di trincea: mettere in gioco la propria vita per conquistare una minima parte di terreno. Protagonisti dell’opera sono un gruppo di giovani studenti tedeschi, arruolati volontari. Questi vengono istruiti in trincea da alcuni soldati veterani, che insegnano loro il vero significato della guerra (e della sopravvivenza), togliendo credito alla menzogna insegnata nelle scuole (il verso “dulce et decorum est” è citato da un insegnante a inizio film). Dall’ingenuo entusiasmo iniziale i giovani arriveranno a provare la peggiore paura, la fame, il dolore fisico: l’orrore del conflitto rovina le loro vite per sempre, tanto che il ritorno alla quotidianità è un tentativo che non ha successo.

Orizzonti di gloria (1957, regia di Stanley Kubrick)

Kubrick si è da sempre interessato al tema della guerra, rientrante nell’ottica più ampia di un’analisi rivolta alla bestialità irrazionale dell’essere umano: l’autodistruttivo istinto bellico, secondo Kubrick, è insito nella genetica umana. Orizzonti di gloria ci pone dunque di fronte alla guerra come evento drammatico, delineandone però in particolare gli aspetti assurdi, legati soprattutto al rigido apparato burocratico che governa le truppe da una posizione privilegiata e che calcola le perdite umane in termini matematici, più che umani: la guerra rappresentata da Kubrick è come una sorta di partita a scacchi, nella quale il sacrificio è necessario ma, in caso di errori di calcolo, inutile. Il film, che ha come figura centrale Kirk Douglas nel ruolo del colonnello Dax, vede appunto in atto la cinica macchina da guerra, che qui costringe un reggimento di soldati francesi a compiere una missione suicida (invadere la fortezza soprannominata “il Formicaio”); le truppe avanzano e avviene una carneficina, ma agli occhi delle alte sfere dell’esercito la ritirata dei sopravvissuti va punita come codardia: tra i soldati coinvolti ne vengono sorteggiati tre per essere sottoposti all’iniqua giustizia della corte marziale.

La grande guerra (1959, regia di Mario Monicelli)

Age & Scarpelli, Luciano Vincenzoni e lo stesso regista Monicelli compongono per La grande guerra una delle migliori sceneggiature della cosiddetta commedia all’italiana, abbinando efficacemente toni drammatici, realismo storico e comicità e lasciando spazio alle interpretazioni di due tra i più grandi attori italiani, Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Rispettivamente ricoprono i ruoli del soldato romano Jacovacci e del milanese Busacca, entrambi finiti sotto le armi senza grande entusiasmo, mantenendo viva non tanto l’intenzione di compiere gloriosi atti militari quanto piuttosto quella di salvare la propria pelle sul campo di battaglia. Questi due “eroi” sono figure tipiche del cinema di Monicelli: sono soldati piuttosto imbranati, più propensi allo svago ed alla “zingarata” che non al mestiere della guerra, con la quale però inevitabilmente devono fare i conti quando vengono catturati dalle truppe tedesche e costretti a rivelare la posizione di alcune truppe italiane. Il tono esilarante di molte scene non cancella dunque il dramma di fondo e la Grande guerra, con i suoi orrori e la sua assurda burocrazia, resta protagonista, inizialmente sullo sfondo delle vicende goliardiche di Busacca e Jacovacci, infine arrivando in primo piano con tutta la sua brutalità, sulla quale il regista non opera alcuna censura. Ritratto accurato della vita in trincea, sicuramente alleggerito dalle interpretazioni esilaranti di Gassman e Sordi, La grande guerra è uno dei migliori film di Monicelli ed una delle opere più importanti del cinema italiano.

E Johnny prese il fucile (1971, regia di Dalton Trumbo)

Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto dallo stesso Trumbo, uno degli sceneggiatori hollywoodiani di maggior successo qui alle prese con il suo primo e unico film. L’opera ha un carattere fortemente antimilitarista, portato sullo schermo con estrema efficacia: girato parte in bianco e nero (il presente del racconto) ed a colori (il mondo dei ricordi e del sogno), il film presenta allo spettatore il travaglio fisico e soprattutto mentale del protagonista Joe, soldato americano rimasto severamente mutilato dopo essere stato colpito da una bomba sul campo di battaglia. Joe è in grado di pensare e muovere la testa, ma i medici curanti lo credono ormai privo di ogni stato di coscienza e lo trattano di conseguenza come cavia di laboratorio: Joe è privo di faccia e gli sono stati amputati i quattro arti, ma grazie ad una voce fuori campo possiamo sentire i suoi sogni e pensieri tormentati, che hanno come oggetto ricordi felici del passato e memorie di guerra ma, più frequentemente, Joe si interroga sulla propria attuale condizione di mutilato («Sto vivendo un incubo. Sento una voce che mi dice che esisto. Svegliami, mamma, dimmi che non è vero»). La brutalità della guerra è qui dunque mostrata non tanto nella vita di trincea quanto piuttosto nelle conseguenze che essa produce: la mutilazione fisica dei soldati, che nei casi più gravi si ritrovano allo stesso tempo privati dei loro arti e del loro futuro, come nel caso di Joe. Trumbo non manca certo di accusare con amarezza i fautori di tutto ciò, puntando il dito contro le alte sfere dell’esercito e contro la politica (in uno dei vari sogni di Joe, suo padre gli spiega che la democrazia riguarda «i giovani che si uccidono tra di loro»).

Gallipoli (1981, regia di Peter Weir)

Pellicola di Peter Weir, uno degli esponenti dell’Australian New Wave (corrente rinnovatrice del cinema australiano), Gallipoli concentra l’attenzione su uno dei fronti orientali della Grande guerra, raccontando le vicende di un gruppo di soldati australiani presso Gallipoli, in Turchia (alleata con la Germania). L’Australia partecipava chiamata dall’Inghilterra e questo Paese assai distante dall’Europa, nucleo del conflitto, assunse uno spirito interventista di stampo unico, che il film illustra in una sua prima parte: i soldati dell’ANZAC (Australian and New Zealand Army Corps) formavano un gruppo ben identificabile, caratterizzato da forte coesione, esibizioni di coraggio, atteggiamenti goliardici ed una visione ingenua della guerra, coerente con l’immaturità di un Paese “giovane” come l’Australia. Protagonisti del film sono due atleti corridori, Archy e Frank (Mel Gibson); se il primo è deciso a partecipare alla guerra arruolandosi nelle truppe di cavalleria, Frank d’altro canto non intende iscriversi alle liste ma decide infine di partire solo per spirito di amicizia nei confronti di Archy e con la speranza di acquisire gradi militari. L’entusiasmo di questi due giovani ingenui, pieni di speranze e di sogni di gloria, perdura per buona parte del film, fino al punto in cui i generali inglesi decidono di far avanzare le truppe australiane oltre la trincea, esponendoli al fuoco nemico: questa manovra è una sorta di sacrificio umano programmato a tavolino, pensato per distrarre le truppe turche da un importante e segreto sbarco britannico. Verso la conclusione il film cessa quindi di nascondere gli orrori della realtà bellica, mostrando ancora una volta i sogni infranti nel sangue di tanti giovani, morti per errori di calcolo e per assurdo cinismo di certi generali.

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