Roy Andersson – A pigeon sat on a branch reflecting on existence

«Il piccione, deriva dalla domesticazione del piccione selvatico (Columba Livia) avvenuta nei secoli passati e si distingue da questo per la maggiore variabilità del mantello e per la sua mansuetudine ed adattabilità alla vita con l’uomo». Quale miglior punto di vista, quindi, il regista svedese Roy Andersson poteva adottare per la sua disamina della vita umana, se non quello di un piccione? E quale festival cinematografico poteva consacrare la geniale e imprescindibile carriera di uno dei massimi autori del nostro tempo, se non Venezia, che di piccioni se ne intende abbastanza? Cronaca di un successo annunciato quindi per l’autore scandinavo, e di una vittoria che finalmente sancisce, con il Leone d’Oro, l’importanza nella storia cinematografica recente della cosidetta “trilogia sull’essere un essere umano”, di cui A pigeon sat on a branch reflecting on existence, costituisce il capitolo conclusivo (i primi due film erano stati Canzoni del secondo piano del 2000 e You, the living del 2007).

Ex regista di pubblicità e autore dalle tempistiche quasi malickiane, Andersson ha compiuto con “il piccione” (come è stato ribattezzato dal pubblico della Mostra), l’ennesimo miracolo. Prendendo in prestito diverse correnti pittoriche e visive, dalla profondità prospettica di Bruegel il Vecchio alla fissità spaziale ed esistenziale di Hopper, il regista svedese ha realizzato un’opera che da una parte non può prescindere da queste influenze ma che possiede dall’altra anche una sua particolare ed originale specificità.

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39 sono i piani sequenza che compongono la pellicola e che si intrecciano fino a costituire diverse storie legate tra loro dalla vicenda surreale di due venditori operanti nel “settore del divertimento”. Quelle di Andersson sono parentesi di vita, spaccati di esistenza, quadri animati che riflettono la miseria umana e che il regista restituisce allo spettatore senza impartire lezioni o giudizi, ma semplicemente osservando il mondo e gli esseri che ne fanno parte. Sono pillole autoconclusive che si adattano al linguaggio e alla durata di YouTube ma che al contempo ne (di)mostrano la superficialità. La macchina da presa è sempre immobile, ma proprio per dare ancora più importanza ai personaggi, che sono liberi di muoversi lungo la profondità di campo creata dal grandangolo. Che poi è in realtà un movimento assente, giacchè i personaggi sembrano statici, immutabili, inerti. Ingranaggi di un mondo essenziale, gelido, dalle tonalità sbiadite e monocromatiche.

Attraverso lampi di sottilissima comicità e di uno humor cinico e raffinato, ma anche di momenti lirici bellissimi, Andersson diventa così lui stesso uno spettatore del suo film e appollaiato su un ramo rimane lì a guardarsi lo spettacolo. Imparziale, impassibile, eppure mai distante. Più o meno come fa un piccione. Leone d’Oro sacrosanto.

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