Eddie Vedder, la cover di "Imagine" di John Lennon

Dopo le polemiche dei giorni scorsi sulle sue dichiarazioni pacifiste che avevano fatto infuriare gli israeliani, impegnati in questi giorni in un durissimo attacco a Gaza, Eddie Vedder è tornato indirettamente di nuovo sull’argomento (dopo un’ulteriore precisazione, affidata ad un comunicato stampa) eseguendo una cover di Imagine, il classico di John Lennon.

Il musicista, impegnato in un concerto in Portogallo, ha proposto il brano per la prima volta, introducendolo con queste parole: «Credo si tratti della canzone più potente mai scritta. Ecco perché non l’ho mai suonata. Ora mi sembrava ci fosse una buona ragione per farlo. Se volete unirvi a me, usare le vostre voci o accedere una luce, ci sono un po’ di persone lì fuori che hanno bisogno di sapere che non sono sole».

Ecco il video con la performance:

Due settimane fa, durante un concerto in Inghilterra, aveva preso duramente posizione contro le operazioni militari israeliane in corso in Palestina. «Lo giuro sul fottuto Dio – aveva detto Vedder -, ci sono persone là fuori in cerca di una ragione per uccidere! Cercano un motivo per attraversare i confini e prendersi una terra che non gli appartiene. Dovrebbero andarsene e pensare ai cazzi loro!».

Le repliche non si erano fatte attendere, con le critiche del Jerusalem Post e di molti fan su Facebook, che avevano accusato Vedder di parlare in modo “irresponsabile” e di “esagerare”. Vedder a sua volta aveva poi replicato con un comunicato ufficiale (che, per altro, citava proprio Imagine in apertura e in chiusura), in cui scriveva: «Chiamatemi naïf, ma preferisco essere naïf, sincero e pieno di speranza piuttosto che rassegnarmi a non dire nulla per paura che le mie parole vengano male interpretate e delle conseguenze. La maggior parte delle persone su questo pianeta sono più consumate dalla ricerca dell’amore, della salute, di una famiglia, del cibo e di un rifugio che non da qualsiasi tipo di guerra». «Non so come elaborare il sentimento di colpa e complicità che provo quando sento della morte di una famiglia causata dall’attacco di un drone americano – aggiungeva Vedder -. Ma so che non possiamo rassegnarci a che la tristezza di trasformi in apatia. E so che staremo molto meglio quando impareremo a venirci incontro gli uni con gli altri».

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