Rolando Ravello – Ti ricordi di me?

Si chiama Ti ricordi di me? ma l’opera seconda di Rolando Ravello, poteva benissimo chiamarsi “La felice storia di Robi il cleptomane e Bea la narcolettica”. Un pò come le fiabe che scrive il protagonista Edoardo Leo e che nessun editore ha il coraggio di pubblicare, ovvero “Mille e una notte a Rebibbia”, “Alice nel paese dei terremotati”, “La foresta dei barboni assiderati”.

«C’erano una volta un principe ed una principessa…». Inizia così, come tutte le favole, la storia di Roberto e Beatrice (Ambra Angiolini). Lui, cleptomane, fa il commesso in un supermercato in attesa di essere cacciato per l’ennesima volta. Lei, narcolettica, lavora come insegnate in una scuola elementare e vive di rendita grazie al suo compagno ricco. Entrambi sono in cura dalla stessa terapeuta. Ed è proprio qui che i due si incontrano e cominciano la loro storia d’amore. Quello che Roberto non sa è che tutte le volte che Beatrice prova una forte emozione non solo cade in un sonno profondo ma la sua memoria si cancella. A Roberto non basterà quindi conquistarla una volta soltanto.

Scritto da Paolo Genovese ed Edoardo Falcone, Ti ricordi di me? è l’adattamento cinematografico dello spettacolo teatrale scritto da Massimiliano Bruno con protagonisti gli stessi interpreti del film. La pellicola diretta da Ravello si inserisce nel filone della nuova commedia italiana (che ha proprio in Genovese e Bruno gli esponenti di spicco) che va da Immaturi a Smetto quando voglio, passando per Nessuno mi può giudicare.

Misurato, semplice e con una freschezza e una vitalità inusuali per il cinema italiano, Ti ricordi di me? riesce non solo a creare una sincera empatia con i protagonisti ma anche a costruire una venatura malinconica che accompagna tutta la visione della pellicola e che non stona rispetto alla leggerezza del prodotto. Complici dei dialoghi e della battute molto azzeccate e un’ottima prova recitativa degli interpreti (non solo i protagonisti) capaci di toccare corde drammatiche inaspettate, il film non resta impigliato nelle solite esigenze di contesto (come ad esempio l’immancabile riferimento alla situazione economica italiana) ma trova il suo cardine fondamentale nel piacere di narrare una storia anche non propriamente attinente alla realtà, rifacendosi così alle strutture narrative di certo cinema indipendente americano e aprendosi in qualche modo ad un mercato non solo nazionale.

Un piccolo passo verso una cinematografia veramente esportabile, che sarà compiuto solo quando scompariranno quelle onnipresenti musichette in stile midi e quell’inevitabile comparsata del regista di turno (in questo caso Ravello arriva solo nei titoli di coda) perpetuando quella caratteristica tutta italiana da cinema de’ noantri. L’Italia arriverà sempre con il solito ritardo. Però meglio tardi che mai.

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