Ridley Scott – Alien

Nello spazio nessuno può sentirti urlare. Un dato inquietante, usato come tagline, che ci accompagna nell’atmosfera claustrofobica e terrificante del film che meglio ha saputo rappresentare l’ibrido genere dell’horror fantascientifico: Alien, capolavoro di un Ridley Scott alle prime armi (è il suo secondo film) ma già ambizioso nelle sue scelte registiche, unendo un’ottima regia tecnica ad una cura personale per l’estetica dell’opera.

La vicenda ha luogo sulla nave spaziale Nostromo, in ritorno sulla Terra. Quando un segnale sconosciuto viene percepito dai computer, l’intelligenza artificiale che governa la nave allerta l’equipaggio e seguendo protocolli prioritari devia verso la fonte del segnale, un vicino pianeta. Investigando a terra, il capitano Dallas con il vice Kane e la navigatrice Lambert rinvengono il colossale relitto di un’astronave dalla bizzarra geometria. Al suo interno scoprono delle uova e Kane, osservandone la superficie, viene attaccato da una piccola creatura che gli si avvolge attorno al volto, mantenendolo però in vita. Violando l’ordine di quarantena dell’ufficiale Ripley (Sigourney Weaver nominata all’Oscar), l’esperto scientifico Ash permette ai tre di rientrare nella nave, portandosi dentro il parassita in fase di rapida crescita.

Alien è un film seminale di entrambi i generi citati, specialmente per la regia e la cupa fotografia voluta da Scott, ma anche per la storia, ideata dal Dan O’Bannon già sceneggiatore del fantascientifico Dark star: l’originalità consiste nell’avere come protagonista dell’azione una donna, ma anche nel distacco dal classico scenario bellico tra uomini e marziani (Guerra dei mondi), tentato invece nel sequel Aliens. Si affronta infatti la minaccia aliena nella prospettiva ristretta e intima dell’astronave, in un rapporto predatorio che sostituisce la figura dell’invasore con quella di un parassita “venereo” (il morso e la coda penetrano le vittime). Una minaccia il cui embrione si sviluppa all’interno di un ospite per poi uscirne nel pieno della quotidianità (la scena cult del pranzo), seminando un panico insostenibile, non essendoci via di fuga nello spazio.

La cupa atmosfera horror, introdotta nella fantascienza da Alien (primo di una fortunata tetralogia incentrata sull’eroina Ripley), deve il merito a H.R. Giger, macabro artista di un oscuro surrealismo che mescola carne, metalli ed erotismo in opere dal fascino diabolico. Tra queste la litografia Necronom IV è stata scelta come modello per l’alieno adulto del film (realizzato da Carlo Rambaldi), creatura la cui «perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità», citando lo scienziato Ash: essere terribile ma dotato da Giger d’una macabra eleganza aliena che lo ha reso uno dei mostri di culto del cinema contemporaneo, entrato nell’immaginario (e negli incubi) di una generazione.

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