Il noir in Louisiana: “True detective”

[attenzione, contiene spoiler!] Forse è un po’ azzardato annunciare a marzo quale sarà la migliore serie televisiva del 2014, ma guardando bene intorno (e indietro) True detective difficilmente verrà superata o eguagliata da qualcos’altro.

La serie antologica, creata da Nic Pizzolatto, racconta in otto episodi le vicende dei detective Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Martin Hart (Woody Harrelson), concentrandosi in particolar modo sull’indagine tesa a catturare un serial killer in Louisiana. La storia si divide in due linee temporali distinte, muovendosi avanti e indietro dal 1995, l’epoca in cui si svolsero i fatti, e il 2012, quando i due ormai ex-poliziotti vengono chiamati a testimoniare sul caso riaperto.

A prima vista, True detective non aggiunge niente al genere noir, in linea di principio non ha molte differenze rispetto a Seven (per esempio): Una coppia di detective disfunzionale, il tipo cerebrale e introspettivo e l’altro il classico “regular guy” casa e famiglia; una serie di omicidi rituali a sfondo religioso; un complotto che coinvolge anche le forze di polizia dietro al quale i colpevoli si nascondono… insomma, elementi abbastanza noti. Quello che cambia è l’intenzione. Come ha ben spiegato lo showrunner Pizzolato in un’intervista, quello del killer è solo un cavallo di Troia per investigare da vicino sul vero misterio della serie: i due protagonisti. Ecco allora che la maschera di Martin Hart, marito fedele e uomo di famiglia, inizia a incrinarsi dopo pochi episodi, quando ci viene mostrata la sua relazione clandestina e la sua vera idea di famiglia, un’isola tranquilla dove trovare un pasto caldo e riposarsi dopo una lunga giornata di lavoro per non pensare a niente. Mentre Cohle vive in un piccolo appartamento spoglio e senza mobili, dove si compatisce per la morte accidentale della sua bambina.

Il noir resta la scatola, cambia l’intenzione, ma cambia profondamente anche il contenuto e soprattutto cambia il ritmo. True detective si prende tutto il tempo di cui ha bisogno, ha un andamento lento e riflessivo che permette molte digressioni dal racconto principale per concentrarsi sui personaggi, una “marcia funebre” l’ha definita Pizzolatto. È una storia che raramente urla e molto spesso sussurra.

La serie prodotta dalla HBO (e già rinnovata per una seconda stagione) ha avuto da subito un forte impatto sulla critica e sul pubblico, mettendo in luce il talento del suo creatore. Nic Pizzolatto è un giovane scrittore di 39 anni, con alle spalle un romanzo, una raccolta di racconti e due episodi di un’altra serie televisiva – The killing – che si è formato, per sua stessa ammissione, guardando il meglio delle serie televisive degli anni 2000: Deadwood, I Soprano, The wire.

Una stagione di otto episodi è poco per dire se Pizzolatto sia o meno un grande scrittore. Quello che sicuramente si può dire è che è un autore molto intelligente, che ha trovato il modo giusto per raccontare questa storia da un punto di vista narrativo e stilistico. La doppia linea temporale messa in scena, con i due detective costretti a ripercorrere la loro carriera davanti a una telecamerina, oltre ad essere intrigante per lo spettatore e a conferire un certo ritmo ai fatti, consente un massiccio – e giustificato – utilizzo dei monologhi e delle voci fuori campo. Così i discorsi dei personaggi, che in qualsiasi altro modo sarebbero stati decisamente poco raffinati e agili, si mescolano perfettamente alla lentezza delle immagini.

L’autore ha inoltre dimostrato di avere già un’ottima padronanza delle stretture narrative cinematografiche, dividendo la serie in tre atti: gli episodi 1,2 e 3 per il primo atto; 4, 5 e 6 per il secondo; 7 e 8 per il terzo, dove la storia troverà la sua conclusione.

Questo abile showrunner, praticamente venuto dal nulla, ha già conquistato la Hollywood televisiva e rischia di rivoluzionarne in maniera profonda i meccanismi. Storicamente infatti il grande limite autoriale delle serie televisive è quello per cui il creatore della serie deve, per far fronte all’enorme mole di lavoro, appoggiarsi su un team di scrittori con cui in qualche modo condividere l’opera. È il problema con cui si è scontrato per esempio Rod Serling, l’autore di Ai confini della realtà, costretto a mediare di volta in volta sia col network, che con i suoi autori. Pizzolatto ha invece scelto di scrivere tutti e otto gli episodi e di farli dirigere tutti e otto allo stesso regista, evitando così anche le sottili differenze di stile che si riscontrano nelle serie classiche.

Cary Joji Fukunaga, che ha curato la regia, era gia conosciuto per Sin nombre (lungometraggio con cui ha vinto il Sundance) e un adattamento di Jane Eyre con protagonisti Michael Fassbender e Mia Wasikowska. Il suo lavoro in True detective vale da solo la visione: estremamente curato in ogni particolare, dai dialoghi ai campi lunghi, dove le distese della Louisiana, nella loro surreale commistione di boschi e raffinerie,  sembrano loro stesse dei personaggi, allo splendido e spettacolare piano-sequenza di sei minuti con cui si chiude il quinto episodio.

Di grande livello sono infine le interpretazioni. Ma se Woody Harrelson e Michelle Monaghan (nel ruolo della moglie di Hart, Maggie) si attestano su un ottimo livello senza eccellere, la recitazione di Matthew McConaughey conferma quanto sia meritato l’Oscar al miglior attore protagonista recentemente vinto. L’attore era stato scritturato inizialmente per interpretare il ruolo di Hart, ma ha spinto fortemente per avere Cohle e quella di cambiare idea sembra essere stata una scelta decisamente azzeccata. McConaughey ha studiato attentamente il personaggio, creando una tabella temporale di come il suo stato emotivo sia cambiato dal 1995 al 2012 e modificando a seconda di questa il modo di parlare e muoversi, portando sulla schermo una recitazione praticamente perfetta, molto marcata, ma in linea con il protagonista.

True detective è stata impostata sul modello della serie antologica, cioè sarà composta da varie stagioni che, pur trattando lo stesso tema, avranno di volta in volta protagonisti, storie e attori diversi. L’ultimo episodio andrà in onda negli Stati Uniti domenica prossima, per conoscere il destino di Cohle e Hart, basta pazientare ancora un po’.

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