“Il sorriso di don Giovanni”, torna in libreria Ermanno Rea

Ermanno Rea nasce a Napoli nel 1927. Diventato giornalista, lavora per numerose testate e si dedica, in particolare, a storie pubbliche partendo da casi privati, come quello di Federico Caffè, economista scomparso misteriosamente nell’aprile 1987: da questo fatto Rea scrive L’ultima lezione (Einaudi), poi trasposto al cinema da Fabio Rosi.

Naturalmente, gran parte delle sue riflessioni sono dedicate alla sua città natale, come in La dismissione (a cui si è ispirato Gianni Amelio per il suo La stella che non c’è) , pubblicato nel 2002 da Rizzoli e incentrato sullo smantellamento dell’acciaieria Ilva di Bagnoli, simbolo di una città che ha fallito la possibilità di emanciparsi tramite un processo di industrializzazione. Con Mistero napoletano Rea vince il Premio Viareggio, con Fuochi fiammanti a un’hora di notte il Campiello, mentre il suo Napoli ferroviaria è finalista allo Strega nel 2008.

La stella che non c’è

Rea è di recente tornato in libreria con Il sorriso di don Giovanni (Feltrinelli), con protagonista una donna di nome Adele, grandissima amante della lettura e di tutti quei mondi che popolano la carta stampata. La sua storia ha luogo negli anni Settanta, nell’entroterra campano: i libri sono la sua più grande passione, la vita stessa, che si mescola con quella dei personaggi dei romanzi che legge. D’altro canto, «a che cosa servono i romanzi se non a spogliarti del tuo piccolo ego per farti assumere il peso di ciò che non ti appartiene ma che, a furia di leggere, si fa carne della tua carne? […] i buoni libri moltiplicano la vita».

Un elogio della lettura e del suo potere salvifico sulla vita delle persone. Come sarebbe un mondo senza di essa? «Non occorre andare tanto avanti con la fantasia. Gli uomini che odiano i libri non si contano. In Italia sono la maggioranza assoluta, lo dicono tutte le statistiche. Ci sono i disarmati, cioè gli analfabeti e i semianalfabeti. E questi ci sono sempre stati. Ma ci sono i consapevoli, cioè i più esecrabili, perché sanno quello fanno» ammette Rea in una bella intervista su «Repubblica.it».

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