Quando William Burroughs duettava con Kurt Cobain

In molti conoscono il talento letterario di William Burroughs, il geniale Pasto nudo, persino il film cult che ne ha ricavato David Cronenberg. Ma pochi forse sanno che lo scrittore, oltre che con la letteratura, il cinema (ha recitato anche in Drugstore cowboy di Gus Van Sant) e le droghe, ha avuto un rapporto assai peculiare anche con la musica.

Nel corso della sua vita, Burroughs (di cui ieri ricorreva il centenario della nascita) ha collaborato con musicisti d’avanguardia come Bill LaswellLaurie Anderson e i Sonic Youth. Con questi ultimi, registrò il disco Dead city radio, una raccolta di spoken word musicati dalla band newyorkese e da tanti altri artisti (tra cui John Cale). Non era la prima volta: nel 1965 era uscito Call me Burroughs. Prodotto da Ian Sommerville, l’album (registrato in un appartamento sfitto di Ringo Starr) aveva tra i suoi fan anche Paul McCartney.

(David Bowie e William Burroughs negli anni ’70)

Importanti anche la parterniship con Nick Cave e Tom Waits per la raccolta di prose Smack my crack, poi diventata un altro disco nel 1987. Con Waits, Burroughs scrisse anche la piéce The black rider, una fiaba musicale d’avanguardia che debuttò al Thalia Theatre di Amburgo nel 1990.

Burroughs lavorò anche con i R.E.M., recitando il testo di Star me kitten per una speciale versione della canzone pubblicata sulla compilation Songs in the key of X: music from and inspired by the X-Files soundtrack (1996). Se poi consideriamo che l’ultima apparizione in video dello scrittore prima della morte (avvenuta nel 1997) è nella clip di Last night on Earth degli U2 (sempre 1997), allora è evidente come Burroughs tenesse in gran considerazione il medium musicale e fosse disposto a misurarsi anche su terreni più vicini al pop. 

Un’altra collaborazione decisamente peculiare, che spiega bene la trasversalità e l’attualità di Burroughs, fu quella con Kurt Cobain dei Nirvana. I due realizzarono assieme nel 1993 lo sperimentalissimo singolo The “Priest” they called him. Il meccanismo era il solito: musica e reading. Cobain sevizia per quasi 10 minuti Silent night e To Anacreon in heaven (il brano della Anacreontic Society, un’associazione di musicisti dilettanti della Londra del 18° secolo), mentre Burroughs declama le sue visioni a base di eroina e morte.

Il brano letto, in particolare, è ambientato durante la vigilia di Natale e racconta la storia del “Prete”, l’ennesimo degli antieroi eroinomani di Burroughs. Il “Prete”, dopo aver venduto una valigia di cuoio contenente un paio di gambe mozzate, se ne ritorna nella sua pensione con una dose. Mentre si prepara l’iniezione, sente una serie di gemiti soffocati: provengono dalla stanza accanto, dove un ragazzo messicano zoppo è in preda ad una crisi di astinenza. Mosso da compassione, il “Prete” gli dà la droga. Torna nella sua stanza, si sdraia sul letto e muore.  

Ascoltate il brano qui:

La lettura finì anche in un corto d’animazione, The junky’s Christmas (Il Natale del tossicomane), diretto da Nick Donkin e Melodie McDaniel e prodotto da Francis Ford Coppola. E a dimostrazione di come le connessioni visive non scarseggino mai nell’arte di Burroughs, la foto dello scrittore sul retro del singolo fu scattata da Gus Van Sant. 

Ma torniamo a The “Priest” they called him. In generale, Cobain da Burroughs aveva preso il metodo del cut-up per i testi e, purtroppo, la passione per l’eroina (anche se Kurt rifiutava ogni parallelismo biografico). The “Priest” they called him era probabilmente un modo per dimostrare di essere ancora un musicista underground e non il fenomeno da classifica in cui l’aveva trasformato MTV (per questo Cobain odiava Nevermind). Burroughs, dal canto suo, aveva 80 anni, non doveva dimostrare più niente a nessuno. E tuttavia lavorare con Cobain testimoniava il desiderio di parlare alla generazione nuova, alle prese con la stessa crisi e la stessa ansia di risposte di quella che aveva amato il Pasto nudo

Terminate le session di registrazione, Cobain aveva invitato Burroughs ad apparire nel primo video dei Nirvana tratto da In utero: «Come ammiratore e studioso del tuo lavoro, sarei deliziato dalla possibilità di lavorare direttamente con te», scriveva in una lettera. Onde evitare strumentalizazioni relative al suo uso di droga, Cobain espresse anche la possibilità che Burroughs comparisse in video truccato e irriconoscibile. «
Io sarei orgoglioso di avere William Burroughs nel mio video nel ruolo di se stesso, e sono molto più interessato ad avere l’opportunità di lavorare con te piuttosto che pemettere che il pubblico lo venga a sapere», scriveva Cobain.

Purtroppo però la collaborazione non si concretizzò e così l’unico frutto comune tra i due rimane The “Priest” they called him. Magari non è un brano particolarmente rilevante narrativamente o musicalmente – anche se sentire un accenno di Silent night che viene fuori da un bombardamento di chitarra elettrica mentre Burroughs ci parla sopra è sempre un’esperienza surreale. Si tratta comunque della bella testimonianza dell’incontro di due personalità fondamentali (per motivi diversi) della controcultura americana, un cortocircuito generazionale e artistico avvicente, che la vicenda personale e artistica di entrambi ha consegnato al culto.

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