E ci risiamo con la storia del ritorno della grande commedia all’italiana. Sapore di te dei Vanzina è commedia all’italiana nel senso deteriore del termine, un’accozzaglia di luoghi comuni e macchiette che, anche quando non ha comici di Zelig o dive della tv tra i suoi protagonisti, sa sempre della stessa cosa: nulla.
Carlo ed Enrico Vanzina, nella veste di regista e sceneggiatore, tornano in quella Forte dei Marmi che aveva fatto da sfondo ad uno dei loro film più celebri, Sapore di sale (1983). Stavolta, però, le lancette dell’orologio dicono anni ’80, non più ’60, ma il bello dei Vanzina è questo: non c’è mai differenza. L’arrivismo, la volgarità, la grettezza dei loro personaggi sono sempre quelli dell’era pre-Tangentopoli, un edonismo sguaiato e caciarone che, nell’illustrare quelli che sono i vezzi peggiori dell’italiano medio, finisce inevitabilmente con lo strizzargli l’occhiolino.
La storia di Sapore di te è il solito puzzle di cliché: l’onorevole socialista sciupafemmine (Vincenzo Salemme) attratto dell’aspirante velina di turno (Serena Autieri, che non sogna ovviamente Striscia ma il Drive-In); la solita famiglia Proietti, capitanata da Mario Mattioli, tifosissimo della Roma e alla ricerca di una licenza per trasferire il suo negozio di abbigliamento da San Giovanni a via del Corso (e per questo cerca la complicità dell’onorevole). E ancora, i due giovani innamorati, di buona famiglia lei (Martina Stella), provincialotto lui (Giorgio Pasotti), i due fratelli attratti dalla stessa ragazza, la coppia di borghesi milanesi e il bagnino che fa innamorare le ragazze straniere.
Non manca niente, insomma. Inutile parlare della regia o della sceneggiatura, sono praticamente inesistenti. Anche volendo cercare un appiglio, non lo si trova: Sapore di te è un prodotto televisivo, trasportato al cinema per esigenze tipiche di box office. Rispetto alle commediole degli anni ’80, comunque, è pure peggio – persino dei cinepanettoni trash à la Vacanze di Natale: lì l’ottimismo e l’edonismo erano prodotto genuino di un clima, avevano una vitalità estrema, anche inquietante. Qui sanno nettamente di operazione studiata a tavolino, più spenta, inghiottita da una nostalgia insopportabile, che arriva a rimpiangere fino agli anni ’60 (non a caso, un’altra epoca di boom).
Sapore di te è, in questo senso, lo specchio fedele di un paese che si rifiuta di guardare avanti. Vedremo i riscontri al box office. Certo è che, a giudicare dalla mediocrità della pellicola, dalla sua fiacchezza, l’epoca d’oro della commedia all’italiana è definitivamente tramontata. E forse era ora.