Park Chan-wook – Lady Vendetta

Dopo Mr. Vendetta ed il successo internazionale di Oldboy, il “patrono dei vindici” Park Chan-wook chiude la sua trilogia dedicata al demone della rivalsa con questo film, nel quale la vendetta si fa donna (Lady Vendetta appunto). La giustizia assume il volto della bella Geum-ja (interpretata da Lee Young-Ae), faccia angelica e animo oscurato da torti passati. A lei è stata infatti attribuita, erroneamente, una colpa spregevole: il rapimento e l’omicidio di un bambino. Il tribunale mediatico, non interessato ad analizzare le incongruenze del caso, aiuta a distruggere pubblicamente l’innocenza di Geum-ja.

Scontato il carcere, nel quale si è intanto creata una rete di amicizie (grazie ad una serie di buone azioni nei confronti delle compagne di cella), l’ormai adulta Geum-ja si tinge le palpebre di rosso, indossa tacchi, giacca di pelle nera ed acquista una pistola, esteriorizzando così la femme fatale che è nata in lei. Segue la ricerca del vero assassino, mister Baek (Choi Min-sik), maestro di scuola d’infanzia di cui Geum-ja era l’amante, ma che l’ha tradita costringendola a confessarsi colpevole, minacciando di ferire sua figlia Jenny. È con gelido calcolo che la protagonista, avendo pianificato tutto per anni, si addossa il compito di vendicare il bambino (e altri alunni morti in seguito), arrivando a riunire i genitori delle vittime e offrendo ad essi stessi la libertà di sfogare la loro vendetta personale sull’omicida.

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Ancora una volta il regista sudcoreano ci offre una forte – a tratti commovente, a tratti ironica – storia di torti ripagati col sangue. Giustizia viene sì fatta, ma nuovamente ci lascia con l’amaro in bocca: in Oldboy il finale rimane sospeso nell’ambiguità e pure qui capiamo che non vi è vero lieto fine, non per la protagonista almeno. Geum-ja si rende forse conto di non poter riguadagnare la sua purezza perduta (simboleggiata forse dalla poetica scena finale della nevicata), che le viene negata da ciò che ha subito, ossia il carcere non meritato, l’allontanamento della figlia, ma anche la vendetta stessa, che l’ha divorata dentro.

Una storia raccontata come sempre con gran cura dell’immagine, non senza umanità e con quel poco d’ironia necessaria alla costruzione del cinismo di questa vendicatrice che, quasi giocosamente, intende assumere un look “maledetto”. L’obiettivo del regista è infatti quello di dare un’immagine affascinante e insieme cinica alla vendetta, dipingendo diversamente un sentimento spesso più ferino e brutale (Oldboy). Quel che manca rispetto al capolavoro precedente è la complessa analisi morale ed il senso di colpa (ritorto contro il giustiziere stesso), ciò che non viene affrontato in questa pellicola perché più incentrata sul riscatto di una donna, diventata spietata, ma con la coscienza in fondo pulita.

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