John Carpenter – Grosso guaio a Chinatown

Dopo essere stato l’antieroe Plissken di 1997: Fuga da New York e il protagonista MacReady ne La Cosa, Kurt Russell continua la sua fortunata collaborazione con John Carpenter in un film piuttosto inusuale per il regista, se si considerano i suoi lavori passati: un’apertura verso quell’industria cinematografica commerciale (Hollywood) dalla quale Carpenter stesso si distaccherà, proprio dopo lo scarso successo avuto con Grosso guaio a Chinatown. Un flop che il regista non si spiega, ma che trova opposizione nel giudizio dell’home video, per il quale è stato elevato a grado di cult.

Ciononostante si tratta di un buon esempio di pellicola d’avventura hollywoodiana. I due protagonisti, nel contesto della Chinatown di San Francisco, sono Wang Chi (Dennis Dun), proprietario di un ristorante della zona, e Jack Burton, camionista forzuto e dalla mente semplice con il volto di Kurt Russell. Quando Miao Yin, fidanzata di Wang, viene rapita all’aeroporto, i due amici si mettono alla sua ricerca. Si lasciano sottrarre il camion, ma infiltrano il covo dei Wing Kong, gang malvagia a servizio di uno stregone (Lo Pan interpretato da James Hong) e dei suoi adepti, uomini capaci di manipolare magicamente i fulmini (le Tre Bufere). Lo Pan è alla ricerca di giovani donne dagli occhi verdi per poter cancellare la centenaria maledizione che lo rende incorporeo: li ha Miao Yin, come anche Gracie (Kim Cattrall), amica di Wang che, dopo averli accompagnati, resta prigioniera nel covo, dove viene destinata ad essere sacrificata. Una seconda spedizione, dopo vari combattimenti a suon di magia e calci rotanti, avrà maggiore successo, soprattutto per merito del mago buono Egg Shen (Victor Wong), antico nemico di Lo Pan.

Grosso guaio a Chinatown è nella sostanza un crogiolo di generi: l’azione strizza l’occhio alla commedia, al wuxia orientale ed al fantasy, combinati in una formula che funziona benissimo, garantendo intrattenimento con una trama semplice ma avvincente. La regia di Carpenter, più abituato ai ritmi ed agli spazi ristretti del genere horror, non presenta pecche nella gestione della dinamicità di certe scene caotiche di combattimento, molto frequenti nel film, con l’aggiunta di elementari, ma efficaci, effetti speciali (necessari ai fini del fantastico).

Il punto di forza del film è però sicuramente l’ironia, sulla quale si basano i dialoghi, specialmente quelli di Jack il camionista: personaggio carismatico che segue lo stereotipo dell’eroe rozzo, tutto istinto e niente cervello, non il convenzionale avventuriero hollywoodiano circondato di successi, bensì un incapace, spinto a fare quel che è giusto non per un codice morale, ma per la propria utilità: ovvero per recuperare il proprio camion.

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