Umberto Maria Giardini – Ognuno di noi è un po’ Anticristo

In principio era Moltheni, figlioccio della tradizione indie italica (Afterhours su tutti) e portatore sano del germe del cantautorato. Il debutto nel 1999, con Natura in replay, l’highlight di Fiducia nel nulla migliore nel 2001, una serie di album in cui l’indolenza della ballata si sposava con l’elettricità e suoni all’occorrenza minimali. Poi, la chiusura dell’attività e il cambio d’insegna con il vero nome, Umberto Maria Giardini, ma non prima della “ristrutturazione” con il progetto Pineda (un disco omonimo nel 2011). Quest’ultima esperienza, con Marco Marzo Maracas e Floriano Bocchino, è stata importante: ha liberato la componente psichedelica/post-rock della musica di Umberto, arricchendola di passaggi strumentali imprevedibili, cambi di umore, ricami che aggiungono ulteriore enfasi ai suoi testi.

Dopo La dieta dell’imperatrice (2012), Giardini ripete la formula anche in questo EP, Ognuno di noi è un po’ Anticristo. Il titolo è ovviamente provocatorio, e sembra alludere alla nostra capacità di sabotarci, di opporci a noi stessi. Le cinque tracce della raccolta raccontano di occasioni perdute, passioni consumate troppo in fretta (Omega), appuntamenti dati ma che non si onoreranno mai (Tutto è Anticristo), e sullo sfondo il ticchettio dell’orologio (Regina della notte). Versi eleganti, raffinati, pregni di caducità, che s’incastrano con naturalezza nel tessuto armonico, fatto di arpeggi psichedelici (Fortuna ora), crescendo emotivamente coinvolgenti (Regina della notte), minimalismi cinematici (la strumentale Oh gioventù) e impennate più heavy (Omega).

Il paesaggio è desolato, malinconico, ma senza autoindulgenza. Il merito principale di Ognuno di noi è un po’ Anticristo è proprio nel suo non piangersi addosso, nel cercare di trovare sempre e solo nella musica (anche nel gusto per la melodia italiana più retrò di Tutto è Anticristo) un cerotto alla precarietà esistenziale di cui canta.

Ognuno di noi è un po’ Anticristo chiarisce insomma ulteriormente come Umberto Maria Giardini sia altro da Moltheni – la sua versione più matura. Non più calcolata, ma più consapevole, e in grado di gestire in forme più intriganti l’urto fra la tradizione e la modernità. La strada, insomma, sembra quella giusta.

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