Gianni Amelio – L’Intrepido

Chi è L’Intrepido, con la “i” maiuscola? Un eroe moderno, che nella giunga del precariato e della volgarità al potere, si districa come può: con il sorriso, la dignità ed una passione certosina, antica, per il lavoro.L’Intrepido è un moderno Charlot (un «puro totale» per dirla con le parole del suo interprete, Antonio Albanese), che contrariamente al personaggio chapliniano non conosce il gusto della marachella, non ruba, non ha lati oscuri. L’Intrepido è Antonio Pane di nome e di fatto, che salta da un lavoro all’altro senza sosta e senza lamentele, perché è uno specialista del rimpiazzo, sostituisce chi deve assentarsi dal proprio impiego per un ora, un giorno, una settimana, qualunque esso sia.

Regista di film belli e importanti come Lamerica, Porte aperte e Le chiavi di casa, Gianni Amelio, dopo Il primo uomo (tratto da un romanzo postumo di Albert Camus), torna ad interessarsi al presente, all’Italia della crisi e della flessibilità che impazzisce e sfocia nell’assurdo. Tutto ruota intorno a Pane: la regia costruisce dei quadri attorno ai vari mestieri che si trova a svolgere (sarto, autista di tram, bibliotecario, ambulante), ovatta le atmosfere e lo squallore di Milano per accentuare la dimensione onirica, ma così facendo intacca appena il malessere di cui soffrono Antonio, il figlio aspirante musicista e Lucia, la ventenne depressa di cui il protagonista s’innamora. Antonio dovrebbe essere l’incarnazione della poesia dell’umile e, soprattutto, di una speranza che non smette mai di lottare, ma la verità è che è semplicemente un rassegnato. Si adatta, come il film di Amelio che, incapace di capirla, la realtà, e di affrontarla, la costeggia pigramente, cerca di trasformarla in una favola, sperando che la morale (la verità) si riveli da sé e possa inquadrare sotto una lente diversa anche il rapporto tra cinema e realtà.

Non succede niente di tutto questo, ovviamente. Il film, per dirla con Amelio stesso, «trattiene il fiato» e alla fine sbuffa appena, per non rompere l’incanto. Albanese è perfettamente in parte, e la fotografia di Luca Bigazzi è raffinata, ma serviva altro, un passo diverso, per dare spessore ad un soggetto del genere che, alla fine, si avvita su se stesso. In più, la sceneggiatura presenta troppe ingenuità e forzature stucchevoli. Antonio è il sorriso e la bontà che contagiano, un Forrest Gump a spasso per una Milano inedita ma anche dolorosamente priva di consistenza. Amelio, innamorato troppo della sua poesia, manca il bersaglio (l’attualità): o meglio, lo sostituisce con uno fittizio. Nel suo sogno, la freccia raggiunge il centro e Antonio Pane, malgrado tutto è felice. Facile prevedere che il risveglio sarà particolarmente brusco.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie