Pedro Almódovar – Parla con lei

Benigno è un infermiere, Marco uno scrittore. Poi ci sono due figure femminili, Lydia, una torera, e Alicia, una ex ballerina. Marco e Lydia vivono una storia d’amore, all’apparenza felice. Questo finché la donna non rimane vittima di un incidente durante una corrida e cade in coma. Stessa sorte per Alicia, anch’ella in coma e ricoverata presso lo stesso ospedale di Lydia. La vicenda ha una svolta quando Benigno violenta l’inerme Alicia e, per questo, finisce in carcere. Quest’ultima si risveglia dal coma, mentre Lydia muore. Ma nel frattempo Marco ha scoperto una dolorosa verità su quello che credeva essere un rapporto perfetto.

Sembrano episodi molto complessi quelli messi in scena da Pedro Almódovar in Parla con lei. Eppure, nel film si parla semplicemente d’amore, così come il regista spagnolo ci ha abituati: in modo non convenzionale, alle volte un po’ tortuoso ed intricato – perché, in fondo, l’amore è un percorso ad ostacoli, che nasconde, alla fine, una felicità profonda, immensa, anche se non sempre riconoscibile o comprensibile nella sua totalità. Almódovar ama uscire dagli schemi, per ricreare i suoi mondi, in cui valgono le sue regole, dove non esiste una “normalità” com’è generalmente concepita, ma un nuovo equilibrio, legittimo per buona parte dei suoi caratteri borderline, per motivi diversi relegati ai margini della società, spinti a gesti estremi dal cinismo del mondo che li circonda (e che a malapena li sopporta, figuriamoci capirli o giustificarli).

In quest’ottica, lo stupro perpetrato da Benigno assume contorni quasi poetici, degni della più struggente e romantica delle storie d’amore. Eppure, per Alicia lui non è nessuno. E qualcosa ci fa intuire che Benigno ha avuto, con tutta probabilità, per buona parte della sua vita tendenze omosessuali. Quindi cosa sta accadendo? Per quale motivo si è macchiato di una colpa tanto mostruosa? E perché mai Marco dovrebbe difendere un gesto tanto ignobile? Forse perché Benigno gli ha insegnato a “parlare con lei”, con Lydia, anche se Marco non c’è mai veramente riuscito. Invece Benigno sa comunicare, sa farsi sentire ed è questo quello che interessa ad Almódovar: evidenziare la natura fondamentalmente buona del personaggio, al di là delle apparenze, che, a prima vista, dovrebbero spingere a una condanna. Benigno è il perno di tutta la storia, ci sono altri tre personaggi che dipendono da lui e lo stupro diventa, paradossalmente, ciò su cui poggia il lieto fine della pellicola.

Nel lungometraggio, Almódovar decide di non rinunciare ai suoi soliti inserti fantastici e surreali, che arricchiscono la trama, senza per questo renderla assurda. Sono pochi i cineasti che possono permettersi esperimenti del genere senza cadere nel grottesco. Almódovar è senz’altro uno di essi.

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