Alain Fournier - Il grande Meaulnes

Infanzia, avventura e meraviglioso: Il grande Meaulnes di Alain-Fournier

Il grande Meaulnes è davvero il libro di una vita, quella di Alain- Fournier, il suo autore, morto ventisettenne durate la Prima guerra mondiale. Un romanzo autobiografico, ispirato all’incontro con Yvonne de Quiévrecourt, davanti al Petit Palais di Parigi, il giorno dell’Ascensione. Quella con Yvonne è una passione mai consumata, ma anche la genesi de Il grande Meaulnes, «un lungo romanzo che ruota intorno a lei». Neanche la notizia del matrimonio e della maternità della ragazza allontanano Fournier dalla sua ossessione: al pari della donna-angelo per eccellenza, la Beatrice dantesca, Yvonne diventa il simbolo di un sentimento puro e assoluto, perché «gli amori impossibili non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre» (Ferzan Ozpetek, Mine vaganti). Ci fu un’altra donna nella vita di Fournier, Jeanne Bruneau, con cui lo scrittore visse una relazione piuttosto burrascosa, e che costituirà l’ispirazione per il personaggio di Valentine. Il grande Meaulnes venne pubblicato a puntante sulla «Nouvelle Revue Française» nel 1913, e, successivamente, in volume dall’editore Émile-Paul. Concorre al premio Goncourt, ma viene sconfitto da Il popolo del mare di Marc Elder.

Il grande Meaulnes è un romanzo sulla giovinezza. Una giovinezza passata e perduta, eppure parte preponderante della vita dei protagonisti, i quali, proprio da ragazzi, vivono i momenti più significativi della loro esistenza. È la storia di un’amicizia, quella tra Augustin Meaulnes e François Seurel, per certi versi simile a quella della coppia cinematografica Chris Chambers / Gordie Lachance, simboli di quell’amicizia adolescente che trasforma il mondo circostante in qualcosa di magico e misterioso, dove tutto diventa amplificato, da esplorare e scoprire. Come i caratteri di Stand by me di Rob Reiner, anche Meaulnes e Seurel sono sulle tracce di qualcosa: non di un corpo, bensì di un luogo, di un castello, dove Meaulnes ha trascorso qualche giorno, dopo esservi giunto per puro caso. Un luogo dal quale il protagonista si allontana in macchina, di notte, addormentato. Per questo, una volta tornato al suo paese, non è più in grado di ritrovare la strada per la magione. Eppure, egli deve tornare, perché quando ha scoperto quel castello era «a un’altezza, ad un grado di perfezione e di purezza» che non raggiungerà mai più, man mano che andrà avanti con gli anni.

Come suggerito da Yasmina Melaouah, traduttrice dal francese e curatrice dell’edizione italiana, Il grande Meaulnes è un libro che sa d’estate, di aria calda e immobile, in cui irrompe l’irrequietezza di Augustin: infanzia, avventura e meraviglioso costituiscono le parole chiave alla base della trama (e sempre la Melaouah fornisce nella postfazione al romanzo un’interessante esplicazione di questi tre concetti), che di per sé non racconta nulla di così fuori dal comune, ma racchiude nel suo personaggio principale una tale forza dionisiaca, da incarnare nei decenni successivi l’essenza stessa della gioventù. In Augustin la giovinezza trova un prolungamento inaspettato, che non si riscontra, al contrario, nei vecchi amici, i quali entrano naturalmente nell’età adulta. Ciò non accade al grande Meaulnes, la cui vita, di fronte all’impossibilità di ritrovare il suo castello, subisce un brusco arresto, che ha il sapore di una pseudo-depressione. Ma c’è un altro motivo per cui Meaulnes vuole ritrovare quel luogo: è là che ha conosciuto Yvonne de Galais, personaggio fittizio ispirato alla de Quiévrecourt.

Arriva un momento in cui Meaulnes e Yvonne si ritrovano e si sposano. Il cerchio si chiude. O no? Perché, come abbiamo detto, Augustin è un animo irrequieto e, soprattutto, tormentato da un grande segreto e una terribile promessa, fatta tempo prima a Frantz, il fratello di Yvonne. In più non dimentichiamo che Il grande Meaulnes è la storia di un tempo andato e del tentativo del protagonista di recuperarlo con ogni mezzo a disposizione. Questo è l’assunto su cui poggia l’intreccio: quando sembrerà sopraggiungere la quiete dopo tante peripezie, il lettore ha l’obbligo di dubitare di tale pace apparente. È solo una coincidenza, eppure, per ironia della sorte, Il grande Meaulnes uscì lo stesso anno di Dalla parte di Swann, primo libro de La ricerca del tempo perduto di Marcel Proust (pubblicato a spese dell’autore, dopo il rifiuto di André Gide): due testi diversi, tuttavia accomunati dalla decostruzione della cronologia tradizionale, dove «il tempo diventa interiore, discontinuo, e il romanzo racconta la sfida che la parola lancia alla parcellizzazione operata dal tempo».

In bilico tra realtà e sogno, Il Grande Meaulnes è una sorta di testamento letterario lasciato da Fournier, prima che il suo corpo fosse gettato, insieme a quello di altri compagni d’armi, in una fossa comune, per essere ritrovato solo nel 1991, a distanza di quasi ottant’anni. Sono passati cent’anni esatti da questo grande scritto, che non è solo un romanzo sulla memoria, ma anche un modo che essa ha di trovare riscatto dal giudizio terreno: attraverso i due protagonisti, che custodiscono le avventure l’uno dell’altro, il ricordo della rovina, della perdita, delle debolezze, viene ricomposto in un quadro ordinato, e anche la sfuggevolezza di Meaulnes trova giustificazione all’interno di un disegno più ampio e importante. Soprattutto, il perpetrare della memoria attraverso il ricordo, permette di salvare ciò che, materialmente ed anagraficamente, sarebbe altrimenti perduto.

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