Lucio Pellegrini – La vita facile

Ci sono due vecchi amici, Mario e Luca, entrambi medici, il primo in una clinica romana, il secondo presso una struttura in Africa. Un giorno, Mario raggiunge Luca, con la scusa di volerlo rivedere e affiancare nella sua attività. In realtà, l’uomo è fuggito dal posto di lavoro, poiché reo di avere intascato delle tangenti. Infatti, all’inizio Mario non riesce ad ambientarsi nella nuova situazione, proprio perché non spinto da vere motivazioni umanitarie. Pian piano, però, la situazione si stabilizza, e anche il rapporto con l’amico. A minare l’armonia ritrovata è l’arrivo di Ginevra, moglie di Mario e vecchia fiamma di Luca.

Per nessuno la vita è facile, ma i protagonisti di questo film non sono di certo disposti ad accettare la realtà: un po’ come accadeva ai caratteri del precedente lavoro di Lucio Pellegrini, Figli delle stelle, così delusi dalle loro vite da unire le forze per rapire un ministro e intascare un riscatto. Esistenze fatte di espedienti, di tentativi miranti a raggiungere la stabilità economica e privata, senza prima fare i calcoli con se stessi, con le proprie carenze caratteriali, le fragilità e i limiti umani: così è per la coppia Mario / Ginevra de La vita facile, mentre anche per l’integerrimo Luca è previsto un momento di debolezza dalla sua apparente incorruttibilità.

Pellegrini confeziona un prodotto molto buono per quanto riguarda la storia e le interpretazioni di Favino, Puccini e Accorsi. Il suo è un lungometraggio che si limita a tracciare un ritratto impietoso della società italiana ai tempi del consumismo e della filosofia dell’apparenza, senza scendere in troppi giudizi morali, lasciando che sia lo spettatore ad elaborare una propria opinione, in base a quanto visto sullo schermo. Alle volte tutto va come ci aspettiamo, altre volte la vicenda regala delle sorprese, anche se non proprio inattese: nel complesso tutto è ponderato alla perfezione, dai tempi filmici alle reazioni di attori e pubblico. Nel panorama totale, acquista un certo spessore il personaggio femminile, che più di tutti incarna la smania del “tutto e subito” tipicamente occidentale, questa Ginevra bella e all’apparenza vulnerabile – l’aspetto fisico della Puccini contribuisce a rafforzare questa sensazione di fragilità –, in cui prevalgono, al contrario, venalità e un’essenza doppiogiochista.

È in una scena finale, che coniuga giustizia e anche una vena di grottesco, che si svelano le vere nature dei protagonisti, i quali, tempo un ultimo fotogramma, fanno i conti con le proprie scelte, la propria condotta e ciò che sono riusciti a guadagnare o perdere, poiché, a un certo punto di ogni vita, uno «o ha ciò che vuole o i motivi per cui non ce l’ha».

 

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