Wolfgang Becker – Good bye, Lenin!

Berlino, 9 novembre 1989: il Muro che ha diviso per 28 anni la capitale tedesca viene abbattuto. È possibile raccontare un evento di simile portata con il sorriso sulle labbra, ma senza perdere di vista il peso storico? Good bye, Lenin! (2003), di Wolfgang Becker, ci è riuscito alla grande.

Facciamo un passo indietro, al 7 ottobre di quell’anno cruciale. Christiane Kerner è madre di due figli: uno di questi, Alex, viene arrestato dalla polizia della Repubblica Federale Tedesca. La donna, fervente sostenitrice del regime sovietico della Repubblica Democratica, ha un infarto e cade in coma. Quando si risveglia, otto mesi più tardi, tutto è cambiato. Nella nuova Berlino, i segni del capitalismo sono ovunque, la vita (il mondo) corre ad una velocità nuova: come può Alex spiegare alla madre questa incredibile rivoluzione? Semplice, non lo fa. Aiutato dalla sua ragazza, Lara, dell’amico antennista ed aspirante regista, Denis, e della (scettica) sorella Ariane, il ragazzo allestisce una messinscena con l’intento di far credere alla madre che la DDR sia ancora in piedi. Giunge persino a montare ad hoc finti servizi giornalistici per Aktuelle Kamera, un’emittente tv ormai scomparsa. Cerca di far finta di nulla insomma, e nel frattempo quasi si convince che quella DDR “ricostruita” ed ucronica sia reale. Nel frattempo, Alex riesce anche a ricongiungersi con il padre, fuggito nel 1978 ad Ovest (la madre, all’ultimo, aveva rinunciato a seguirlo per paura). Quando Lara racconta la verità a Christiane, sembra che l’illusione stia per spezzarsi: la donna, tuttavia, sceglie di credere alla “bugia” del figlio, scambiando la riunificazione per una vittoria del socialismo. Si spegne, serena, pochi giorni dopo.

Con Good bye, Lenin!, Becker è riuscito nell’impresa di emozionare e far sorridere con intelligenza, dando voce a quella “ostalgia” (il fenomeno della nostalgia della vita nella DDR) serpeggiante nel tessuto sociale tedesco. In una Berlino che muta pelle, cambia, sconvolta dal “wind of change” (dal nome di una canzone degli Scorpions), si staglia l’appartamento di Christiane, un anacronismo infarcito di simboli del socialismo al tramonto (colbacchi, divise della gioventù comunista, la Vita Cola e via di seguito). La “recita” di Alex aiuta a sopportare il lutto, ma soprattutto è una riflessione sul socialismo come sarebbe potuto essere e, insieme, sulla possibilità che tale ideale possa esistere solo nella dimensione utopica, del sogno. Un film originale, divertente, ma dal retrogusto amaro.

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