Robert Zemeckis – Ritorno al futuro

Il rock’n’roll non l’ha inventato Elvis Presley. Non l’ha inventato neppure Chuck Berry. Il rock’n’roll, in realtà, l’ha inventato Marty McFly. Quando? Nel 1957, al ballo «Incanto sotto il mare» del liceo di Hill Valley, con sotto gli occhi i suoi futuri genitori che danzano e forse si baciano, sì, si baciano, altrimenti questa storia – e con essa, forse, la Storia – non la si sarebbe mai potuta raccontare. E che dire, poi, dello skateboarding, l’arte di scivolare sull’asfalto sopra ad una tavoletta con le ruote? Voi direste, Wikipedia alla mano, che s’è sviluppata negli anni ’50 in California, e invece no, anche quella l’ha inventata McFly, e sempre nel 1957, rubando una specie di monopattino a un paio di ragazzini e “adattandolo” alle esigenze del momento (servono velocità e agilità per seminare un’auto sportiva che minaccia di schiacciarti come un insetto).

Volendo, si potrebbe continuare così per molto ancora: di anacronismi, paradossi spazio-temporali e parodie irriverenti è pieno non solo questo primo capitolo del 1985, ma tutta la saga di Ritorno al futuro, di cui Marty (alias Michael J. Fox) è per l’appunto il protagonista. Un autentico culto circonda la trilogia, oggetto a sua volta di innumerevoli citazioni, più o meno esplicite (ad esempio in Donnie Darko, altro e più recente “idolo” dei giovani cinefili). Merito di Robert Zemeckis e del co-autore della sceneggiatura Bob Gale, capaci di dar vita ad un colorato ed irriverente mix che, con la tipica ironia postmoderna, saccheggia, reinventandoli, l’immaginario pop e il sistema di generi della Hollywood classica (fantascienza, ma anche commedia, avventura e, nel terzo capitolo, persino western).

Tutto comincia qui, insomma, nel 1985, con una Delorean che viaggia nel tempo messa a punto dallo scienziato Emmett Brown (Christopher Lloyd). Marty, che di “Doc” è un caro amico, ci sale a bordo per scappare da un manipolo di terroristi libici, arrabbiati con il professore perché questi gli ha rubato del plutonio, necessario per la carburazione della vettura. Per un errore, il “viaggio” lo porta nel 1957: quando la madre, lì ancora ragazza, si innamora perdutamente di lui, cominciano i guai, quelli veri. Se Lorraine non bacia George (il padre) al ballo scolastico, nessun futuro sarà possibile per Martin, non più. Alla fine, tra mille peripezie, tutto (o quasi) va a posto: la morale è semplice, meglio lasciar perdere il futuro, si rischiano di infrangere equilibri troppo delicati. La lezione vera, però, è un’altra: si può fare grande cinema anche col sorriso sulle labbra e le sale piene.

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