Muri che crollano: Berlino nel cinema tedesco pre e post-1989

Il 9 novembre 1989 è una data cruciale, per la storia tedesca e non solo: dopo l’annuncio del governo della DDR (Deutsche Demokratische Republik, Repubblica Democratica Tedesca), i cittadini di una Berlino divisa possono finalmente riabbracciarsi dopo quasi trent’anni. È il “crollo” (politico, prima che fisico) del Muro, eretto il 13 agosto del 1961 come puntello di quella divisione in blocchi ideologici figlia dalla sconfitta della Germania nella Seconda guerra mondiale. Ancora oggi, la città (divenuta ufficialmente capitale nel 1991) reca i segni di quello sfregio della Guerra fredda: alcuni pezzi della parete sono ancora in piedi e a ricordare quelli mancanti ci pensa “La pista del muro”, realizzata tra il 2002 e il 2006, che percorre tutti i 160 km della linea di confine originaria, mentre sulla Bernauer Strasse sorge un memoriale eretto in onore dei tanti tedeschi che, prima dell’unificazione del loro paese, hanno perso la vita nel tentativo di aggirare il blocco.

Il cinema, neanche a dirlo, si è interessato sin da subito all’argomento. Durante gli anni della divisione, Berlino diventa simbolo di due mondi, scenario, soggetto e protagonista di moltissime pellicole – basti pensare, ad esempio, a Scandalo internazionale (1948) di Billy Wilder (il quale, più tardi, girerà Uno, due, tre! proprio nei giorni della costruzione del Muro). In una città percepita come una sorta di “zona franca”, è soprattutto l’elemento spionistico ad intrigare le produzioni più importanti: campione del genere è probabilmente La spia che venne dal freddo (1965), diretto da Martin Ritt e tratto da un romanzo di John le Carré, senza dimenticare l’Hitchcock “minore” de Il sipario strappato (1966). Di ben altro taglio, invece, gli scenari affrescati dal cinema tedesco. Disperata e “drogata”, è, ad esempio, l’aria che si respira nella Berlino Ovest raccontata in Christiane F. – Noi i ragazzi dello zoo di Berlino di Ulrich Edel (1981), ispirato al romanzo omonimo di Kai Hermann e Horst Rieck (1978). La pellicola offre un crudo spaccato sociologico, ambientato tra la stazione di Zoologischer Garten e la discoteca Sound (la «discoteca più moderna d’Europa», «Europas modernste diskothek»), dove i giovanissimi, tra cui la tredicenne protagonista, Christiane “F.” Felscherinow (interpretata da Natja Brunckhorst), si barcamenano tra eroina e sballo. Il film vanta la comparsata di un David Bowie d’annata nei panni di se stesso. Con Il cielo sopra Berlino (1987) di Wim Wenders, arrivano riconciliazione e un po’ di colore. L’opera di Wenders (che ebbe un seguito nel 1993 con Così lontano, così vicino!) carna in maniera straordinaria la capitale tedesca e il suo fascino angelico. Dalla metropoli alla metafisica, dai versi di Peter Handke («Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese» è il leitmotiv della pellicola) ai quelli di Ranier Maria Rilke, d’ispirazione per la scrittura della sceneggiatura. La storia di angeli catapultati nella quotidianità (l’Angelo della morte di Paul Klee o l’Angelo della storia di Walter Benjamin) fa di Berlino un luogo mentale e astratto, dentro la Storia e oltre, fino a toccare l’aldilà. Solo il cielo, in questo caso, può unire le due terre, i due mondi e raccontarne la dolorosa Storia.

 

Una delle pellicole berlinesi più note è Lola corre (1998), scritta e diretta da Tom Tykwer. La protagonista (interpretata da Franka Potente) corre contro il tempo a perdifiato per le strade della città: deve trovare centomila marchi per salvare il suo Manni (Moritz Bleibtreu). Qualche secondo prima o dopo modifica radicalmente l’esito degli eventi: «Dopo il gioco è prima del gioco», recita la citazione di Sepp Herberger posta in apertura di film. Un’opera frizzante, tra cinema e animazione.

Sonnenallee (“Il viale del sole”) di Leander Haußmann (1999, inedito in Italia), registra, con tono tra il realistico e l’umoristico, la vita di un gruppo di giovani che vivono sul lato della Sonnenallee appartenente alla DDR, raccontando come a ovest si vivesse d’amore e di musica. Un ottimo riassunto dei momenti salienti del periodo della divisione ci viene offerto da La promessa di Margarethe von Trotta (1994), in cui si narra una microstoria al femminile, l’amore tra Sophie (Corinna Harfouch) e Konrad (August Zirner), separati dal Muro: una difficile riunificazione dei sentimenti scandita in quattro tempi, dal 1961 dal 1989.

 

Tra i film tedeschi incentrati sulla Berlino post-Muro, non possiamo non citare il capostipite della cosiddetta “Ostalgie” (“Ost” – “est” – e “Nostalgie” – “nostalgia” per la vita nella DDR), ovvero Good bye, Lenin! di Wolfgang Becker (2003). La pellicola mette in scena il periodo della svolta storica in un’ottica tragicomica, con Alex (Daniel Brühl) che fa di tutto per celare la realtà cambiata al risveglio della madre Christiane (Katrin Saß), entrata in coma poco prima della caduta del Muro. La fatica e il coraggio di Alex di ricreare quel mondo, l’unico che la donna conosca («Che strano, non è cambiato niente.», «Perché, doveva cambiare qualcosa?») ci spinge verso un finale commovente e profondo. Il lato oscuro della DDR, invece, è al centro del pluripremiato Le vite degli altri, di Florian Henckel von Donnersmarck (2006, tra le altre cose, Oscar come «Miglior film straniero»). La pellicola descrive la Berlino Est attraverso le vicende del capitano della STASI (la polizia segreta) Gerd Wiesler (Ulrich Mühe), che incarna il sistema della Repubblica Democratica, che spiava e controllava i suoi cittadini. Sorvegliando un noto drammaturgo ed entrando nella sua quotidianità, il capitano scoprirà di avere un’anima oltre il filtro inflessibile del controllo. Con Berlin calling di Hannes Stöhr (2009), invece, lo spettatore vive le notti brave berlinesi attraverso la storia del DJ Ickarus (Paul Kalkbrenner). Quello di Stöhr è un film carico, sbandato, con una colonna sonora che trascina il pubblico nella vita notturna-diurna della capitale tedesca, tra acidi, ecstasy e un centro di recupero.

In questi film, Berlino viene raccontata, fermata, fissata attraverso il suo passato, le sue divisioni, le sue ferite profonde. L’Angelo della Storia di Benjamin recupera il corso degli eventi, li rielabora, ci fa i conti, per poi rinascere come l’araba fenice. Il cinema, attraverso queste pellicole, restituisce il fascino di Berlino, della sua storia, quel leggero e al tempo stesso pesante smarrimento che si prova al suo cospetto; il cinema, ancora una volta, oltrepassa barriere e abbatte muri, consegnandoci un’emozione romantica, rivoluzionaria, amara, dolce, e insieme una profonda riflessione sul passato e sul futuro già presente.

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