Ha senso continuare a vivere quando la tua esistenza si divide tra una scrivania ingombra di pratiche in uno stanzone polveroso ed una topaia che del calore domestico non ha nulla? Quando non hai amici, una famiglia, una donna, e tutto di te denuncia anonimato, fallimento? Per Henri Boulanger evidentemente no. E così, dopo esser stato cordialmente sbattuto fuori dall’azienda in cui era impiegato, Henri compra una corda e, tornato a casa, cerca d’impiccarsi. Ma per suicidarsi non basta la volontà, ci vuole anche un pizzico di fortuna. E di fortuna, Henri non ne ha mai avuta molta. Cosicché il gancio che tiene la corda cede, e il tentativo fallisce. Non contento, l’uomo prova a mettere la testa nel forno, ma anche questo sforzo è vanificato (sciopero degli uomini del gas). È leggendo la notizia di un quotidiano che parla dei sicari a contratto adoperati in Colombia nella guerra contro i narcotrafficanti che Henri ha un’idea: perché non “farsi suicidare” da uno di questi professionisti? L’accordo viene siglato nel retro dell’Honolulu Bar: due “bravi ragazzi” conducono Henri al cospetto del loro capo, il quale lo tranquillizza circa la rapidità con cui il sicario (dal volto sconosciuto, giacché il lavoro viene “subappaltato”) adempierà al proprio dovere.
Ci si mette però di mezzo l’amore: Henri incontra per caso Margaret e, invaghitosene, scopre di non voler più morire. Disdire il contratto sarebbe facile, se non fosse che, quando vi si reca il giorno dopo essere scampato ad un primo assalto del killer, l’Honolulu Bar è completamente raso al suolo e dei suoi avventori non c’è neanche l’ombra…
Dopo la “trilogia operaia” di Ombre nel paradiso (1986), Ariel (1988) e La fiammiferaia (1989), il bizzarro road-movie musicale di Leningrad Cowboys Go America (1989) e Amleto si mette in affari (1987), rilettura della tragedia shakesperiana in chiave anticapitalista, Aki Kaurismäki firma, con Ho affittato un killer (1990), un’opera in cui l’elemento comico “puro” ha un peso specifico maggiore. Per stessa ammissione del finlandese, la pellicola è ispirata alle commedie nere britanniche degli Ealing Studios, e a film come L’ultima vacanza (Henry Cass, 1950), La signora omicidi (Alexander Mackendrick, 1955) e Casco d’oro (Jacques Becker, 1952), per non parlare poi della dedica iniziale a Michael Powell. Il risultato è una piéce straniata e surreale, caratterizzata da dialoghi ridotti all’osso e movimenti di macchina essenziali. Un film, insomma, che reca l’indelebile marchio di Kaurismäki, cineasta dei tempi dilatati, delle ellissi, dei silenzi, il cui minimalismo confina con una sorta di pudore della messinscena e delle emozioni. Henri, Margaret e il killer (malato terminale di cancro, ma non per questo intenzionato a venir meno al suo dovere) sono le tipiche figure “ai margini” care al finlandese, personaggi umili, sradicati (Henri è un immigrato e la sua parlata ha un marcato accento francese), colti in scenari quasi hopperiani di muta desolazione (gli interni sguarniti, poveri, malamente illuminati da luci giallastre) o immersi in paesaggi urbani post-atomici. A tal proposito, la Londra di macerie ritratta dal regista potrebbe essere una qualsiasi città europea, dato il rifiuto sistematico di fornire allo spettatore immagini in qualche modo caratterizzanti (il Big Bang, le guardie reali, Buckingam Palace ecc.). L’ambientazione, apparentemente retrò ma in realtà a-temporale, assume dunque una valenza simbolica e conferisce una sorta di universalità alla parabola tragicomica di questi tre relitti, animati, come le altre figure kaurismäkiane, da una dignità e un candore che permette loro di elevarsi al di sopra dello squallido materialismo della società capitalista.
Ho affittato un killer non è forse il capolavoro assoluto di Kaurismäki (titolo che spetta probabilmente a L’uomo senza passato, 2002), ma è comunque uno dei suoi film più riusciti, un marchingegno cinematografico perfetto, in cui il tipico umorismo raggelato del regista nordeuropeo si fonde alla perfezione con l’elemento thrilling e quello drammatico, generando un mix dall’innegabile sagacia.