Kader Abdolah – Il re

«C’era una volta un principe persiano che un giorno, diventato re, visitò Parigi». Inizia così, evidenziando subito il suo tono fiabesco, Il re, nuovo romanzo di Kader Abdolah. Nato in Iran nel 1954, Abdolah viene è stato perseguitato dal regime dello scià e poi da quello di Khomeini, prima di trasferirsi, nel 1988, in Olanda, come rifugiato politico. Oggi è uno degli scrittori più importanti d’Europa, anche grazie ad una prosa che riesce ad unire l’animo e le tecniche degli antichi cantastorie ad una febbrile urgenza di scrivere, quasi un dovere etico della memoria.

Con questo libro, Abdolah attraversa un pezzo di storia, conducendo il lettore nella Persia a cavallo tra ‘800 e ‘900, quando il Paese si trovò ad affrontare la globalizzazione e la modernizzazione, diviso tra un potere legato ancora saldamente alle vecchie tradizioni e l’esigenza di cambiamenti rivoluzionari. In quegli anni, Russia, Inghilterra e Francia si giocano il controllo di una zona (la Persia appunto) di grande importanza strategica, alle porte dell’India e ricca di petrolio. Lo scià, tra il 1848 e il 1896, è il principe Naser, un uomo affezionato ai suoi lussi, al suo potere, al suo harem. Ma anche un uomo debole, un perdente che vuole mostrare forza solamente opponendosi all’avvenire. Attorno a lui si muovono la madre Madholia, il consigliere spirituale Aghasi e, soprattutto, il gran visir Mirza Kabir (trisavolo dello scrittore), figura estremamente legata al proprio dovere e in grado di lavorare diplomaticamente per portare la Persia verso la modernità.

La fiaba di Abdolah lascia spazio anche a morte, crudeltà e complotti politici, elementi essenziali per descrivere il contrasto e l’opposizione tra due uomini (scià e visir) che rappresentano le due differenti vie che una realtà come quella dell’Iran può intraprendere: da una parte le tradizioni millenarie che portano alla rovina, e dall’altra il nuovo che avanza annullando il passato. Intrecciando storia e finzione narrativa, l’autore riesce a concentrarsi sui singoli personaggi, descrivendone i risvolti dell’animo e le fragilità di cui sono portatori; malinconie e debolezze che si palesano nella solitudine più assoluta.

Con i toni della narrazione propri della favola (a volte spinti fin troppo all’eccesso), Il re riporta alla memoria un pezzo di storia e offre una testimonianza della sua terra e di se stesso, se è vero che la scrittura è un modo per lenire il suo dolore. Il risultato non convince pienamente, ma resta la bontà di un parallelismo (forse involontario) con l’attualità di una terra divisa tra passato e venti di primavera del futuro.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.