Fritz Lang – Destino

Due innamorati giungono nella locanda di un piccolo paese. A loro si unisce un misterioso straniero, che ha appena acquistato un terreno accanto al cimitero e l’ha recintato con un muro molto alto, sprovvisto di porte. La ragazza si assenta per qualche istante e al ritorno non trova più il compagno; disperata lo cerca ovunque e scopre che è morto, scorgendo il suo fantasma procedere, insieme ad altre anime, verso il muro.

La donna sviene e viene soccorsa dal farmacista del paese, che la porta nella sua casa. Qui lei tenta di avvelenarsi, ma prima di ingerire il veleno inizia un lungo sogno, che la porta a trovarsi dinnanzi all’imponente muraglia. Questa volta c’è una porta, oltre la quale vi è una scala e, in cima ai gradini, lo straniero che l’attende: la ragazza vuole che il suo amato le venga restituito, così la spettrale presenza (che altri non è che l’Angelo della Morte) la conduce in un luogo pieno di candele, ognuna delle quali rappresenta una vita e, indicandone tre, sostiene che il suo desiderio sarà esaudito se solo riuscirà a riaccendere anche solo una di quelle fiammelle.

Destino (Der müde Tod) di Fritz Lang è il primo, grande successo internazionale del regista austriaco. Come sottolineato da Siegfried Kracauer nel libro Da Caligari a Hitler, Destino appartiene a quel gruppo di film sulle orme de Il gabinetto del Dottor Caligari, opera simbolo del cinema espressionista tedesco. Nella pellicola di Lang si insiste particolarmente sul ruolo del Fato negli eventi umani; inoltre, un’interessante argomentazione, sempre di Kracauer, esalta la riflessione di alcune opere cinematografiche, tra il 1920 e il 1924, sulla tirannia.

Due erano le alternative: accettare la tirannia, o rifiutarla precipitando nell’anarchia. La trama di Destino sembra suggerire che «per quanto arbitrarie possano apparire, le azioni dei tiranni sono manifestazioni del Fato»: tuttavia, è evidenziato anche il disgusto della Morte per il suo compito, al quale non può comunque sottrarsi. È «umanizzando l’agente del Fato, che il film accentua l’irrevocabilità delle decisioni del Fato stesso».

Destino ricorre alle tecniche più innovative adottate dal cinema espressionista tedesco, in cui le «visioni pittoriche sono talmente nitide che a volte danno l’illusione di essere intimamente vere». Le immagini sono il vero punto di forza e, grazie ad alcuni arguti espedienti, sono in grado di tradurre visivamente l’inevitabilità del Fato. Le scenografie furono realizzate dagli stessi modellisti di Caligari, che impostarono la scena secondo i parametri di grandiosità architettonica (muro, altezza dei ceri) caratteristici dello stile di Lang (pensiamo alla struttura della città di Metropolis).

Il risultato è un capolavoro che attinge alla tradizione delle fiabe popolari del Nord Europa e, citando Stefano Socci, alla «leggenda medievale di Jedermann (l’uomo qualunque), che simbolicamente rappresenta il destino di tutti. Mangiare, bere, amare: ogni cosa finisce nella morte. Questo scarno esempio di moralità puritana diventa, nel film, un dolcissimo memento amoris».

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