Martin Scorsese – Hugo Cabret

Hugo Cabret è un meccanismo stupendo di un montaggio magico per una storia perfetta, come un viaggio sulla Luna. Presentato allo scorso Festival del Cinema di Roma, in esso Scorsese riesce ad utilizzare il 3D in maniera fantastica, come a condurre lo spettatore dentro agli ingranaggi del tempo. La meccanica dell’orologio è complicata, ma affascinante allo stesso tempo, perché è il tempo stesso a racchiudere l’essenza del film. Tratto dal romanzo di Brian Selznick, La straordinaria vita di Hugo Cabret, la pellicola racconta una bellissima storia, ma soprattutto recupera il cinema “delle origini”, spesso dimenticato ma che vale la pena di rispolverare. George Méliès (Ben Kingsley), il padre (uno dei padri) del cinema insieme ai fratelli Lumière (1895, si ricordano ancora con emozione i quaranta secondi in cui si vedeva un treno all’arrivo nella stazione di La Ciotat) è il riferimento, riportato alla luce con grande professionalità e magia.

Hugo Cabret (Asa Butterfield), orfano (il padre, Jude Law, morirà in un incendio), vive nei meandri della Gare Montrparnasse di Parigi e si occupa di orologi, dapprima come aiutante dello zio ubriacone: quando questi viene ritrovato cadavere lungo la riva della Senna, diventa egli stesso operatore del tempo, dei minuti, dei secondi, controllando gli ingranaggi meccanici degli orologi della stazione e spiando la vita di ognuno con tenerezza. Allo stesso modo, Hugo lotta contro il tentativo goffo (accentuato dalla gamba meccanica: una ferita di guerra) di non lasciarsi catturare dall’ispettore (Sacha Baron Cohen), il quale manda i bambini in orfanotrofio. Lo spettatore rimane estasiato, mentre la storia si srotola con leggerezza e stupore. Da un lato Hugo Cabret regola il tempo, dall’altro c’é Méliès, anziano e dimenticato da quel mondo immaginario che aveva realizzato per far sognare le persone. Dopo un’incredibile successo agli albori della settima arte, il genio francese si ritrova a gestire un negozio di giocattoli nella stazione di Montparnase. Ciò che rendera la trama davvero interessante, ricca di incontri e scoperte, è la nipote “adottata” di Georges, Isabelle (Chloë Grace Moretz), la quale riuscirà con incredibile leggerezza a unire l’infanzia e la vecchiaia.

Isabelle è innamorata di libri, mentre Hugo è innamorato del cinema. Da un lato c’è l’innocenza (anche se non troppa) e la curiosità di Hugo, e dall’altro un Méliés racchiuso in un cassetto dentro l’armadio pieno di disegni di un tempo in cui il cinema era qualcosa di straordinario e fantastico, che faceva emozionare lo spettatore. Scorsese, grazie anche al 3D, riesce a consegnarci un istante di magia. Fascino del cinema-bambino è l’immaginario straordinario di Le Voyage Dans La Lune dello stesso Méliès, condensato nell’inquadratura con il razzo che s’infila nell’occhio destro di una Luna, mai così piena ed espressiva. Macchine rotte, automa non funzionante, teatrino fatto di trucchi e magie compongono la figura di Méliès e la sua straordinaria creatività visiva. Lo stile di Scorsese è conteso tra la storia e l’estetica digitale del contemporaneo. Il 3D mostra perfettamente la profondità degli ambienti della stazione, il movimento prezioso degli ingranaggi degli orologi che Hugo rimette a posto e carica. Il risultato del film è l’incredibile capacità di racchiudere la storia del cinema, da quello muto in bianco e nero fino ai pixel del cinema tridimensionale, che coinvolge e aumenta le sensorialità di tutto il corpo. Hugo Cabret è il preciso riassunto di una macchina fantastica sognante. Delicati meccanismi ad orologeria tessono un meraviglioso intreccio di memoria e fantasia, un atto d’amore nei confronti del cinema.

Quello di Scorsese è un omaggio spassionato a Méliès: artigiano e innovatore, poesia visionaria che mescola realtà e fantasia. Un film, quello del regista americano, dal sapore dickensiano, mescolato a cadenze silenziose, inquadrature dettagliate, sguardi che compenetrano i quadranti di orologio, come se fosse una ricerca di un tempo perduto e ritrovato in un lieto fine. Dialogo reciproco, intimo, tra il tempo e l’emozione, tra il regista e lo spettatore, tra la verità e la fantasia, tra l’innocenza e la crudeltà, tra l’infanzia e la vecchiaia, tra gli occhi spassionati di Hugo e le rughe compresse di Méliès. Immersione romantica che spinge il pubblico dentro un vortice in cui saltare e portare l’esperienza del cinema sotto pelle. Hugo Cabret indaga il rapporto tra magia e tecnologia, riassunte perfettamente in una dimensione onirica, dove la bellezza della settima arte esplode con stupore e innamoramento.

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