Ingmar Bergman – Sinfonia d’autunno

Due donne, una casa isolata nell’incontaminata natura dei fiordi norvegesi, una singola notte infestata dai fantasmi del passato: su questi elementi Ingmar Bergman costruisce Sinfonia d’autunno, suo ultimo film per il cinema. Il regista, a partire dagli anni ’80, si dedicherà infatti principalmente a produzioni televisive (Fanny e Alexander) e teatrali; una certa propensione ad un’impostazione teatrale è sicuramente riscontrabile in molti film di Bergman, ma notiamo come sia ancora più marcata in Sinfonia d’autunno, la cui sceneggiatura è impostata fondamentalmente come un lungo e intenso dialogo tra le due donne protagoniste, interpretate da grandi attrici del cinema scandinavo, Liv Ullmann e Ingrid Bergman, che ha concluso la sua carriera cinematografica con questo film (morirà pochi anni dopo).

Il regista utilizza uno stile di ripresa essenziale, affidando dunque gran parte del peso del film alle interpretazioni delle protagoniste, che qui sono facilmente identificabili tra le più patetiche, caratterizzate cioè da forte pathos, della filmografia bergmaniana. L’effetto profondamente drammatico è in parte sostenuto dagli ristretti spazi della location (il film segue lo stile del kammerspiel cioè del “dramma da camera”) e dal fatto che a interagire siano essenzialmente due personaggi, due “soliste” se cogliamo la suggestione del titolo: la storia ruota attorno al confronto fortemente emotivo di Eva (Ullmann) con la madre Charlotte (Bergman), nota pianista che non ha saputo essere all’altezza né del ruolo di madre né di quello di moglie. Dopo essere scomparsa dalla vita della sua famiglia per diversi anni, Charlotte accetta l’invito di Eva che ha deciso di ospitarla presso casa sua per pochi giorni.

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Inizialmente le due cercano di riallacciare i legami, che capiamo essere piuttosto fragili a causa di alcuni eventi legati al loro passato (Eva osserva come «Le ferite della madre le soffre la figlia, le delusioni della madre ricadono tutte sulla figlia, l’infelicità della madre si trasmette alla figlia. È come se il cordone ombelicale non si fosse mai spezzato»), ma l’incontro di Charlotte con la figlia disabile Helena, accudita da Eva e suo marito, mette le donne di fronte a ricordi duri da rievocare: l’abbandono di Helena in una casa di cura, l’aborto di Eva e, in genere, l’infanzia delle sorelle, costrette a vivere con un padre buono ma incapace di sostituire la moglie, artista che ha scelto di dedicarsi più alla carriera che alla propria famiglia, arrivando persino a tradire il marito.

Sinfonia d’autunno è uno dei grandi film di Bergman, per la sua umanità e la profonda drammaticità che emerge dai rapporti familiari (qualcosa di simile era già stato analizzato nel precedente film Scene da un matrimonio, dedicato ad una crisi coniugale), una tensione emotiva che viene magistralmente costruita dal regista e sostenuta dalle superbe interpretazioni delle protagoniste. Il film è anche uno dei più formalmente essenziali: il regista non ha bisogno di insistere su ampie ellissi narrative o eccessivi movimenti di macchina, dedicando la maggior parte della inquadrature a statici primi piani di madre e figlia. Il confronto tra le due avviene nel giro di una sola notte e proprio a causa della sua immediatezza e istantaneità colpisce lo spettatore con una certa pesantezza, nonostante il finale sembri aprire ad una possibile redenzione della madre, garantita dal perdono (quanto sia sincero non è dato saperlo con certezza) di Eva.

 

 

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