Tratto dal romanzo di J. F. Cooper, L’ultimo dei Mohicani di Michael Mann è senza dubbio uno dei kolossal più riusciti degli ultimi vent’anni. Complici gli sconfinati spazi americani, la perfetta fusione tra finzione ed eventi storici, l’azione che si mescola al sentimento, non solo di Nathan per Cora, o di Uncas per Alice, ma anche di Nathan per i Mohicani, il popolo che l’ha adottato e ribattezzato “Occhio di falco”.
Siamo nel 1757: inglesi e francesi sono nemici in una sanguinosa guerra di conquista dei territori del Nord America. Le tribù locali sono chiamate a schierarsi a fianco di una o dell’altra potenza, mentre Nathan – insieme al padre Chingachgook e al fratello, Uncas – sceglie di restare ai margini del conflitto. Ma in tempi bellici la neutralità è un lusso che nessuno si può permettere: il trio salva le figlie del generale inglese Murno, Cora e Alice, dall’attacco degli Uroni (una popolazione indiana alleata con i francesi), scortandole poi presso il forte in cui si trova il padre.
Nel quadro storico s’inseriscono più vicende private che finiscono con l’intrecciarsi in un’unica trama: da una parte la passione di Nathan e Cora, a cui si affianca la coppia di Uncas e Alice che, tuttavia, rimane sempre sullo sfondo; poi c’è il maggiore Heyward, innamorato non corrisposto di Cora; infine, Magua, capo degli Uroni, deciso a vendicare la morte della sua famiglia, sterminata anni prima proprio dal generale Murno.
Ciò che lega Nathan ai Mohicani non passa per il sangue, ma è a loro che egli deve il suo senso di appartenenza a una comunità ben definita: l’uomo è legato a un popolo e a un sistema di valori, primo fra tutti il rispetto per la Natura, considerata un’entità viva e vigile. Egli non è “l’ultimo dei Mohicani”, poiché alla loro discendenza in linea diretta appartengono solo Chingachgook e Uncas; inoltre, la guerra non farà altro che ricordare al protagonista (e non sempre in positivo) le sue vere origini.
L’ultimo dei Mohicani è davvero un film epico, in cui tutto è curato nei minimi dettagli: dalla musica agli effetti speciali, dalle scenografie a una storia ricca di colpi di scena e un’azione che non conosce mai tempi morti. Ma, soprattutto, è la performance del sempre bravo Daniel Day-Lewis a donare al lungometraggio quel tocco di perfezione in più, regalando l’immagine di un personaggio costantemente sospeso fra due mondi, lontani e profondamente diversi, anche se, in realtà, nel suo cuore Nathan sa bene a quale universo da sempre appartiene.