Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Varie volte la fantascienza si è posta questo quesito, formulato con tale tono ironico dallo scrittore Philip K. Dick nel romanzo che fa di tale domanda il proprio titolo (quel romanzo che costituì il modello del Blade runner di Ridley Scott). La questione circa presupposti e conseguenze intorno allo sviluppo di intelligenze artificiali è rimasta una delle più care a questo genere ed Ex machina, esordio alla regia per Alex Garland (già sceneggiatore del Sunshine di Boyle), affronta lo stesso tema combinando più generi in un risultato sicuramente suggestivo.
Il film è girato interamente in una villa isolata dal resto del mondo. Unico abitante è lo scienziato plurimiliardario Nathan Bateman (Oscar Isaac), noto globalmente per essere il geniale creatore di Blue Book, popolarissimo motore di ricerca il cui successo ricorda quello del nostro Google. Ma l’ambizione di Nathan ha ben altro sfogo. Rinchiuso nella sua villa, in realtà un laboratorio di ricerca fortificato e contenente computer avanzati, cerca di raggiungere uno degli obiettivi mitici dell’umanità: la realizzazione di una perfetta intelligenza artificiale. Dopo aver sviluppato un programma funzionante, sfruttando la miriade di dati raccolti da Blue Book (basati sulle modalità di ricerca degli utenti su scala globale) come base per costruire un cervello robotico, Nathan lo installa su una struttura robotizzata antropomorfa: l’androide Ava (che ha corpo meccanico ma i bei lineamenti dell’attrice Alicia Vikander).
Fulcro del film sono loro, creatore e creatura, assieme ad un terzo elemento fondamentale: Caleb (Domhnall Gleeson), giovane programmatore scelto tra le migliori menti della società informatica di Nathan. Suo compito è mettere alla prova l’intelligenza artificiale di Ava, rivestendo il ruolo di interlocutore umano in una versione avanzata del test di Turing, esame concepito per testare la capacità che ha un robot intelligente di imitare il pensiero umano.
Non mancano quindi le premesse necessarie a meritarsi l’etichetta di hard sci-fi, che indica una fantascienza più impegnata e meno spettacolare (dunque meno commerciale). Eppure Ex machina può soddisfare anche il grande pubblico: l’approccio non del tutto convenzionale (il film è suddiviso in fasi, a sottolineare l’avanzamento del test) e il ritmo lento iniziale potrebbero allontanare lo spettatore disinteressato, ma la grande attenzione rivolta a scenografia e colonna sonora serve a creare un’atmosfera claustrofobica e lievemente inquietante, che permette al film dopo alcuni colpi di scena di ingranare la marcia del thriller, genere che infine prevale.
Il regista poteva seguire fino in fondo la strada dell’analisi rigidamente scientifica e delle eventuali considerazioni morali (è giusto tenere “in gabbia” questi robot senzienti?), invece indaga su prospettive più cupe, facendo di Nathan un personaggio fondamentalmente ambiguo, sorta di burattinaio cinico e manipolatore. A diventare sua vittima è lo stesso Caleb, vero alter-ego spettatore, che all’interno del test di Turing si riscopre nel ruolo di cavia assieme ad Ava, con la quale tenta di instaurare un rapporto d’amicizia e fiducia che porterà alla conclusione del test, con risultati del tutto imprevisti.
Film ben scritto e recitato (ottima l’interpretazione di Isaac), mai eccessivamente banale come altra fantascienza odierna ed esteticamente interessante (buon lavoro è stato condotto nel costruire gli ambienti della villa hi-tech di Nathan), Ex machina ha le sue maggiori pecche nella risoluzione della sua trama: mette in campo molte questioni (compresa quella della sessualità come fattore determinante nella costruzione dell’intelligenza artificiale) ma stenta nel svilupparle fino in fondo, optando quindi per un finale che si rivela forse il momento meno originale e meno concettualmente accattivante dell’intero film.