Michaël R. Roskam – Chi è senza colpa

«Nei mio quartiere, ci sono posti a cui non fai mai caso», narra nei primi secondi di Chi è senza colpa la voice off di Bob Saginowski. Quei “posti” sono tutti i bar di Brooklyn, in cui ogni notte passa il denaro sporco di un’intera città. Li chiamano drop bar, punti di consegna, e Bob fa il barman proprio in uno di questi, locale una volta di proprietà del cugino Marv ma ora nelle mani dei ceceni. Nel frattempo lui fa semplicemente il barista, e aspetta. Aspetta di ritrovare in un cassonetto un cucciolo di pitbull da accudire, aspetta di incontrare Nadia, una giovane donna che vive sola e che è disposta ad aiutarlo col cane, e aspetta infine di rivelare la sua vera natura quando sarà messo al centro di una disputa che vede coinvolti i loschi traffici di Marv e lo squilibrato ex fidanzato della ragazza.

 

Se qualche mese fa avessimo dovuto fare una classifica dei film ritenuti vincenti del 2015, The drop (tradotto male in Chi è senza colpa) avrebbe sicuramente occupato le prime posizioni. Sulla carta gli ingredienti li aveva tutti. Diretto dal talento belga Michaël R. Roskam, già nominato agli Oscar per Bullhead e qui alla sua prima trasferta oltreoceano, e tratto da un racconto di Dennis Lehane, sceneggiatore di Mystic River, Shutter Island e Gone girl, il film poteva contare anche su un cast di altissimo livello: non solo Tom Hardy, che si conferma come uno dei più talentuosi interpreti su piazza, ma anche Noomi Rapace e il compianto James Gandolfini, due attori di culto (a maggior ragione Gandolfini, scomparso proprio durante la postproduzione, che qui ci regala l’ennesima grande prova). Poi però qualcosa in Chi è senza colpa è andato storto, anche se tutto sommato i pregi superano di gran lunga i difetti.

 

 

Nessuno è quello che dice di essere, in questo noir urbano immerso nel freddo di una Brooklyn mai così tetra e minacciosa. Una città che Roskam sembra conoscere da sempre, tanta è la naturalezza con la quale ne mostra il lato nascosto. Perchè nel mondo raccontato da Lehane tutte le cose hanno una doppia natura ed è proprio il passato la parte oscura che prepotentemente cerca di riaffiorare. Il protagonista è goffo e impacciato ma nei suoi occhi non c’è solo un presente fatto di solitudine e inerzia, c’è soprattutto un passato che non ne vuole proprio sapere di andarsene e che presto tornerà a chiedere il conto.

 

I personaggi, nonostante i loro sforzi, sembrano così in balia degli eventi, come se fossero parte di un disegno più grande, come se fossero inseriti in un piano inclinato che lentamente porta tutti al fondo della propria natura. Un malessere strisciante che si dipana lungo la pellicola in maniera sottile e quasi impercettibile e che il regista restituisce in maniera egregia. Peccato per i troppi fili narrativi non sviluppati a dovere (come la figura del detective e della sorella di Marv) e per gli inutili spiegoni a supportare una trama in fondo già vista e rivista.

 

 

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