Theodore Melfi – St. Vincent

Il percorso naturale dell’attore hollywoodiano segue diverse tappe: giovane promessa, sex symbol, scoperta del lato drammatico, vittoria dell’Oscar, 4-5 flop commerciali. Di fronte all’insuccesso e alla consapevolezza di non poter essere quello di un tempo, a questo punto per lui si aprono due strade: o viene ingaggiato per vestire i panni del cattivo in qualche blockbuster (nel migliore dei casi un cinecomic) oppure gli viene cucita addosso la parte del vecchio burbero in un film indipendente di un regista alla sua opera prima.

 

Ci sono talmente tanti film che hanno per protagonista un “grumpy old man”, per dirlo all’americana, che potrebbero quasi costituire un genere a parte. Basti pensare a tutti gli ultimi film di Jack Nicholson e Michael Douglas, oppure a Gran Torino, Up e tanti altri. Questi film tendono a seguire un percorso abbastanza prevedibile: 1) il vecchio burbero si dimostra essere un egoista scontroso e perennemente arrabbiato 2) il vecchio burbero è costretto a relazionarsi con nuove persone 3) il vecchio burbero rivela la sua umanità precedentemente nascosta da un trauma.

 

 

St. Vincent, scritto e diretto da Theodore Melfi, aggiunge pochissimo a questo collaudato modello, salvo nell’utilizzo di una cosa fondamentale che pochi possono vantarsi di ottenere per il proprio esordio nel lungometraggio, ovvero Bill Murray. Perchè se il film non brilla certo di originalità, d’altra parte è proprio la scelta del casting ad innalzarlo sopra la media. Non solo Murray nella parte di Vincent, vicino di casa babysitter, alcolizzato e puttaniere, ma anche Naomi Watts in quella della “signora della notte” di origini russe e Melissa McCarthy nei panni della madre tradita e sommersa dal lavoro, del piccolo Oliver (Jaeden Lieberher). Tanto di cappello al regista quindi, per essere riuscito a tenere a freno il travolgente carisma di questi straordinari attori senza però snaturarli ed evitando di trasformarli in semplici macchiette.

 

Grazie ad un ritmo narrativo semplice e lineare che riesce a dosare perfettamente i momenti più divertenti con quelli più drammatici, il film di Melfi riesce, nonostante l’abbondante uso dei più comuni cliché cinematografici, ad intrattenere il pubblico con sincero divertimento e anche qualche lacrima (specialmente nell’immancabile happy ending, forse un pò troppo zuccheroso). Un film popolare nel senso buonissimo del termine che gli spettatori di ogni età sapranno apprezzare sicuramente. Soprattutto tutti quegli adolescenti che si sentono ancora un pò bambini e che un sabato mattina sceglieranno di restare a letto a guardarlo su Italia 1, invece di fare i compiti.

 

 

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