La nevrosi del potere: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

«Io t’ammazzerei con le mie mani».
«Bel coraggio, sei tu che fai le indagini!»

In Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto troviamo, da una parte, Gian Maria Volonté, chiamato semplicemente “il Dottore”. Dall’altra Florinda Bolkan, la sua amante Augusta Terzi. Il dottore è il capo della sezione omicidi: un pomeriggio uccide Augusta, disseminando per la casa numerose prove che lo incolpano del delitto. In seguito, farà di tutto per auto-accusarsi del fatto. Perché?

Il dottore è un membro dell’ordine costituito. Egli crede in quest’ordine e di conseguenza si aspetta di essere punito per il suo reato. Paradossalmente questo non avviene poiché, forte della sua posizione, non è nemmeno sospettato. Anche quando gli indizi portano a lui, i suoi collaboratori trovano degli espedienti per motivare quelle che vengono definite delle mere casualità. Due episodi sono emblematici in tal senso: il primo quando il collega Panunzio giustifica in mille modi l’evidente presenza del suo superiore in casa della vittima; il secondo, il più sconcertante forse, è quando il dottore, senza identificarsi, confessa il suo crimine a un povero diavolo, esortandolo a denunciarlo. Ma quando l’uomo si ritrova faccia a faccia con il poliziotto in veste ufficiale, spaventato finge di non riconoscerlo.

Quello di Elio Petri è un film sulla polizia, ma realizzato “a modo suo”, e il fatto che sia uscito poco dopo la strage di piazza Fontana e l’omicidio-suicidio di Pinelli  influì sicuramente sull’opinione pubblica. La pellicola riscosse un enorme successo, in parte perché a rischio sequestro – e da lì la maggiore curiosità intorno ai temi trattati – e poi perché i cittadini avevano bisogno di sapere, di cercare attraverso lo strumento cinematografico una risposta alle azioni di chi avrebbe dovuto garantire la loro sicurezza.

Da una parte c’è la questione dell’abuso di potere e la certezza dell’impunibilità dei propri crimini, non solo da parte delle forze di polizia, ma di intere categorie (quando il dottore chiede chi abiti nell’appartamento accanto a quello di Augusta gli viene risposto: «Un famoso chirurgo, un individuo al di sopra di ogni sospetto»). Dall’altra – e questo è senza dubbio uno degli aspetti più interessanti del film – il fatto che il cittadino alimenta suddetto meccanismo con la sua fiducia nei confronti delle istituzioni.

Lo stesso dottore ragiona da cittadino e non può tollerare che la sua amante si prenda gioco di lui: il rispetto per l’ordine è una componente fondamentale della sua personalità e se la donna non può essergli fedele – tradendolo con un giovane e aitante anarchico – deve quantomeno mostrargli stima, cosa che lei non fa, denigrandolo da un punto di vista sessuale. Il dottore non vuole che la sua virilità e potenza vengano messe in discussione, ma non tanto come uomo, quanto poliziotto, indefesso rappresentante della legge.

indagine

Infine, l’omicida verrà punito? Oppure i suoi superiori tenteranno di preservare il buon nome delle forze dell’ordine, insabbiando l’accaduto? La citazione da Kakfa inserita nel lungometraggio, «qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano» sembra rispondere al quesito.

L’opera rappresentò l’ennesima collaborazione tra Petri e Volonté, i quali hanno realizzato insieme anche  A ciascuno il suo (tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia), La classe operaia va in paradiso (che con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e La proprietà non è più un furto costituisce la “trilogia della nevrosi”) e Todo Modo. Gli anni Sessanta si chiusero con la contestazione studentesca, l’avvento del terrorismo che insanguinò l’Italia per circa un ventennio e le lotte politiche e sociali: il film di Petri trae la sua ispirazione da questi fenomeni, sviluppando un’acuta riflessione su realtà e finzione, dove finisce una e inizia l’altra.

Per il protagonista essere condannato significa liberarsi dalla maschera di apparenza che è costretto a indossare a causa del suo ruolo di funzionario dello Stato, quella stessa maschera che per anni gli ha permesso di celare la sua psicosi, ma che ora è diventata un peso insopportabile. Come diceva Luigi Pirandello –  uno che di maschere se ne intendeva – ne Il fu Mattia Pascal: «Una situazione, socialmente anormale, si accetta, anche vedendola a uno specchio, che in questo caso ci para davanti la nostra stessa illusione; e allora la si rappresenta, soffrendone tutto il martirio, finché la rappresentazione di essa sia possibile dentro la maschera soffocante che da noi stessi ci siamo imposta o che da altri o da una crudele necessità ci sia stata imposta, cioè fintanto che sotto questa maschera un sentimento nostro, troppo vivo, non sia ferito così addentro, che la ribellione alla fine prorompa e quella maschera si stracci e si calpesti».

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