È giusto, alle volte, analizzare i sentimenti con quella punta di cinismo che aiuta a considerare i rapporti amorosi dalla giusta prospettiva: senza eccessivo romanticismo, con quel distacco fondamentale per capire che l’amore sarà pure perfetto, ma non lo sono gli esseri umani.
Si parte, allora, da due coppie, composte da Alice e Dan, Larry e Anna. La vicenda si svolge nell’arco di alcuni anni, durante i quali le coppie si mescolano tra di loro, si formano, si disfano e si ricompongono. Closer è un film in cui trovano spazio tradimenti, bugie, sesso, fiducia mal riposta o mai concessa e false identità (chi è davvero Alice? Perché si scoprirà non essere quello il suo vero nome). Anche se, a prima vista, Closer potrebbe essere definito un’opera sulla ricerca dell’amore, quello vero, in realtà non è così: al contrario, la pellicola sembra suggerire che l’amore puro e assoluto non è eterno, ma è composto da pochi attimi, che si perdono poi nella quotidianità, in gesti ripetitivi, in schemi sociali e di coppia formali, che hanno perso col tempo la propria freschezza e spontaneità. «Chi ama a prima vista tradisce ad ogni sguardo», in quanto basta un attimo per innamorarsi – e, in genere, per amare dell’altro «tutto ciò che fa più male» – e anche un attimo per tradire.
Nella gigantesca massa di emozioni messa sapientemente in scena da Mike Nichols si sono evitate quelle cadute di stile che avrebbero potuto trasformare il film in un prodotto stucchevole. Closer sfugge dai pericoli in cui inciampa spesso la commedia, per rifugiarsi nella qualità formale garantita dal soggetto (tratto da un testo per il teatro) e anche dall’ottima recitazione di Natalie Portman, Julia Roberts, Jude Law e Clive Owen. Il tocco finale è dato dalla splendida Blower’s daughter di Damien Rice, singolo inserito nella colonna sonora, curata da Morrissey. I personaggi femminili sembrano riuscire più dei corrispettivi maschili a mantenere una sorta d’equilibrio nelle relazioni: le donne sono più brave a mentire al momento opportuno (perché la verità non sempre serve), a mettere un punto fermo a storie che non vanno da nessuna parte, senza, per questo, soffrire meno, farsi meno domande e anche tornando sui propri passi, se necessario, perché spaventate dalla solitudine o dai sensi di colpa.
Di certo, anche se in un modo un po’ maldestro, nonostante gli errori, le indecisioni, le piccole e grandi frustrazioni, i caratteri tentano di dare un senso alla propria vita tramite il rapporto di coppia («tutti vogliono essere felici»), cercando di mettere ogni elemento in fila con ordine, nella speranza di poter pianificare esattamente il futuro, vivendo nell’illusione che la storia perfetta, limpida, solida e incrollabile, esista e che, possibilmente, sia la propria.