Hayao Miyazaki – La città incantata

Nella classifica dei primi 20 film che hanno incassato maggiormente nella storia del cinema giapponese, Hayao Miyazaki figura 6 volte, ed è l’unico giapponese presente, a parte Katsuyuki Motohiro con Bayside Shakedown 2. Sintomo evidente di come ormai il maestro di Tokyo faccia parte della cultura nazionalpopolare nipponica e di come la sua influenza si faccia sentire ben oltre gli ambiti propriamente cinematografici. Difficilmente però, un autore come lui avrebbe potuto farsi conoscere anche al di là dei confini nazionali se non fosse stato per La città incantata, pellicola che ancora oggi risulta la più vista di tutti i tempi in Giappone e che ha portato il disegnatore nipponico a vincere l’Orso d’Oro a Berlino nel 2002 e l’Oscar come Miglior film d’animazione nel 2003.

Il film racconta la storia di Chihiro, bambina di 10 anni che si sta trasferendo con i suoi genitori in una nuova città. Durante il tragitto però il padre sbaglia strada e i tre finiscono in una città apparentemente deserta, dove in realtà vivono spiriti e divinità magiche che escono al calare delle tenebre. La bambina si ritroverà così ad affrontare difficili prove e pericolosi ostacoli ma alla fine, con l’aiuto di un misterioso ragazzo di nome Haku, riuscirà a ricongiungersi con i propri genitori.

Un viaggio che per Chihiro rappresenta un vero e proprio percorso di iniziazione, un rito di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza. Una sorta di anticipazione di tutte le sfide che la attenderanno lungo tutta la sua vita: l’amore, il lavoro, le responsabilità. Un viaggio nel paese delle meraviglie che da qualunque angolazione lo si guardi fa parte in maniera profonda del vissuto di ognuno di noi, sia esso un ricordo lontano o un momento presente. Un viaggio doloroso, complicato, ma per questo ancora più significativo.

Miyazaki affonda le radici della sua pellicola nel Giappone tradizionale e la irradia di rimandi al folclore e alla mitologia nipponica, all’iconografia shintoista e al teatro kabuki. Non didascalicamente però (come a volte gli succede), ma ogni volta sorprendendo con simbolismi talmente sottili e intelligenti da risultare quasi impercettibili. Ogni personaggio, anche il più piccolo, è portatore di un bagaglio culturale tale da rimanere scolpito nella memoria. Un opera che riesce a coniugare la bellezza del lato visivo con una sceneggiatura di ferro. La fantasia con un altrettanto profonda immedesimazione. Le allegorie e le metafore con la lucidità di un racconto critico della società attuale. E così facendo ci rende tutti attori e protagonisti a nostra insaputa dello spettacolo.

Un opera dolorosa, struggente, malinconica, avvolgente, stupefacente. Un capolavoro che le musiche di Joe Hisaishi consegnano direttamente alla storia del cinema.

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