Woody Allen – La rosa purpurea del Cairo

Woody Allen, dopo la lunga serie di film esilaranti degli anni ’70 che lo hanno poi reso famoso, prosegue sulla stessa scia durante gli anni ’80, proponendo pellicole di gran valore come Una commedia sexy in una notte di mezza estate (1982), Zelig (1983) e La rosa purpurea del Cairo (1985). Quest’ultimo narra la storia di Cecilia (Mia Farrow), una donna di periferia che vive con il marito Monk (Danny Aiello), il quale passa le giornate a giocare a dadi e bere con gli amici. Gli Stati Uniti post-crisi del ’29 non offrono di certo prospettive rosee per quanto riguarda il lavoro e la povera Cecilia continua a vivere sulla soglia di povertà: l’unico svago che si permette è quello di andare al cinema.

 

Dopo il suo licenziamento, presa da una crisi, comincia a guardare un film ininterrottamente: appunto La rosa purpurea del Cairo. La sua vita cambia quando, magicamente, uno degli attori del film, Tom (Jeff Daniels), esce dallo schermo e scappa con lei. I due si innamorano l’uno dell’altro, mentre l’industria del cinema finisce sotto il fuoco della stampa a causa dello scandalo suscitato.

 

 

Woody Allen ribalta ogni logica ed estrae dalla rappresentazione filmica le domande esistenziali sulla vita: che valore ha l’idealismo rappresentativo del cinema? Cecilia potrebbe vivere per sempre nei sogni preconfezionati del grande schermo e così tornare bambina e sognare, ma la realtà s’impone con tutta la sua forza nel sorprendente quanto amaro finale. Lo stesso interprete di Tom nella realtà, Gill, finalmente riesce a trovare casualmente il suo alter-ego, e i due innamorati si trovano in una situazione tanto imbarazzante quanto assurda, tra liti con Monk e deliri amorosi come solo il grande cinema americano degli anni ’20 sapeva raccontare.

 

Cecilia deve scoprire sulla propria pelle se la perfezione della rappresentazione può essere sacrificata per l’inganno volontario del sogno quotidiano, e la sua scelta è ciò che ogni grande amante della settima arte deve fare. Woody Allen parla allo spettatore direttamente, e con una delle sue migliori pellicole in assoluto, riesce a mettere nella sua pellicola un intero mondo: attori pronti a tutto, mariti ubriaconi, la contraffazione ideologica del cinema degli anni ’20-’30, l’utilitarista industria cinematografica. Ciò che il grande regista propone però, è un rapporto immortale nella sua semplicità e che tormenta l’uomo dall’alba dei tempi, ovvero quello tra la dura realtà e la fantasia.

 

 

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