Darren Aronofsky – Noah

Il 2014 è l’anno dell’Antico Testamento. E se Ridley Scott si prepara a proporci il suo Exodus, Darren Aronofsky è approdato il mese scorso nelle sale con Noah, che, come suggerisce il titolo, è incentrato sulla storia di Noè e del Diluvio Universale. Certo, la curiosità, più che sulla storia in sé, nota ai più, era tutta sulla chiave di lettura che Aronofsky avrebbe fornito dell’episodio biblico: il risultato è un kolossal epico di forte impatto visivo, che vuole chiamare in causa più tematiche d’attualità che un messaggio di natura religiosa.

È corretto dire che, circa gli intenti, il film di Aronofsky che più si avvicina a Noah è stato The fountain, mentre in pellicole come Requiem for a dream, The wrestler e Il cigno nero, il regista era più assorto nella contemplazione della mente umana, in vicende private che confluivano verso l’ossessione o, nel caso di Sarah o Nina, che addirittura si perdevano nella follia.

In Noah si torna ad indagare il rapporto con il sopranaturale, esplicato nella storia stessa, che racconta della missione che Dio ha affidato a Noè, di costruire un’arca che potesse contenere una coppia di ogni specie animale. Se pensiamo a prodotti mutuati dalle stesse fonti (tipo a I dieci comandamenti del ’56, per esempio), Aronofsky sceglie di abbandonare quasi completamente ogni riferimento mistico, per trasformare la sua opera in una sorta di fantasy, in cui è palese la critica alla società dei consumi, dove dominano sprechi e sfruttamento incontrollato dell’elemento naturale (che, ovviamente, prima o poi è destinato a ribellarsi, provocando catastrofi di proporzioni spaventose).

Chi si aspetta una rilettura fedele della Bibbia rimarrà deluso, perché Aronofsky getta le basi per una nuova concezione di spiritualità, evidente nel rapporto tra l’uomo e la divinità, ma non nel modo che lo spettatore più credente potrebbe pensare. Più che Dio, è la Natura la castigatrice, colei che presenta il conto, e quello che il regista lancia è un messaggio che, al di là dell’essere o meno religiosi, non può che trovare d’accordo.

Una cosa è comunque chiara: che il materiale biblico fornisce una linfa vitale preziosissima a tutti i cineasti che intendono cimentarsi in progetti tratti da questi libri. Fede o meno, la Bibbia raccoglie storie di popoli e uomini articolate e suggestive, che ciascuno è libero di interpretare secondo la propria sensibilità personale e artistica. La strada seguita da Aronofsky ha sancito l’ennesimo successo della sua brillante carriera, anche perché, pur misurandosi nel kolossal, il regista non rinuncia a quel suo tocco personale che contraddistingue tutte le sue pellicole: in Noah è proprio il protagonista l’elemento squisitamente aronofskiano, facendosi sì messaggero delle intenzioni divine, ma spesso abusando della sua speciale relazione con l’Assoluto, quasi incapace, in quanto uomo, di mantenere un equilibrio tra l’essere uno strumento di Dio e il sostituirsi a lui.

In questo senso, Noah non si allontana né dalla psiche instabile della Nina de Il cigno nero, né dalle peculiarità degli altri caratteri di Aronofsky, dal Rourke di The wrestler o dal protagonista di Pi greco. Il teorema del delirio.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie