Paul W. S. Anderson – Pompei

Non ha davvero molto senso scomodare la Treccani, Wikipedia, in generale la Storia, per parlare di Pompei. Perché la pellicola di Paul W. S. Anderson è tutto meno che un film storico. Del resto, non lo era neppure Il gladiatore di Ridley Scott, che al confronto è (quasi) un capolavoro. Il mondo in cui Hollywood si accosta al passato è sempre antistorico, anacronistico: l’obiettivo è l’azione pura, che è l’esatto opposto della storia, attenta a capire quello che c’è prima dell’azione.

Anche in Pompei l’obbiettivo principale è l’adrenalina, la distruzione della città campana nel 79 d.C. ad opera del Vesuvio, eruzione ricostruita al computer a Toronto in fase di postproduzione e resa ancor più spettacolare dal 3D. Al centro c’è la solita vecchia storia d’amore contrastato, fatte le debite proporzioni temporali una variazione sul tema eterno di Romeo e Giulietta filtrato dai Jack e Rose di Titanic. Non esattamente una novità anche perché pure le altre due pellicole ispirate al disastro di Pompei (Gli ultimi giorni di Pompei del 1935 e del 1959) sfruttavano lo stesso espediente.

Kit Harington ed Emily Browning interpretano i due amanti, rispettivamente lo schiavo Milo e Cassia, la bella figlia di un ricco mercante. Tra i due si frappone il potente arrogante e malvagio di turno, il senatore Quinto Attilio Corvo (Kiefer Sutherland), che, geloso di Cassia, la sua promessa, condanna Milo a diventare gladiatore. Dove neppure un potente può nulla è nel confronto con la natura, che, si sa, se ne frega dei soldi come dell’amore. Il Vesuvio erutta, e Milo ingaggia una lotta contro il tempo per salvare Cassia.

Pompei è appassionante a patto che uno dimentichi che un film deve pure avere un minimo di profondità. Qui niente: né le scenografie da peplum (Paul D. Austerberry) né la sceneggiatura (firmata da Janet Scott Batchler, Lee Batchler, Julian Fellowes e Michael Robert Johnson) riescono a regalare un’emozione profonda. Anderson mette i muscoli e il coraggio di Harington (apprezzato già ne Il trono di spade) in primo piano, assieme ai soliti effetti speciali ed un 3D di mero contorno: il risultato è che Pompei finisce sepolto dalle sue stesse ovvietà. La sospensione dell’incredulità fa cilecca: la trama è scontata, gli effetti visivi sono scontati, scontato è anche il finale, e lo spettatore non riesce a esserne consapevole fino in fondo.

Alla fine lo sbadiglio non arriva per un fatto puramente meccanico, perché l’impianto complessivo (che è quello del disaster movie più classico, e non del film storico) lo impedisce con la sua grandeur e il suo ritmo incalzante. Però, terminati i titoli di coda, si esce dal cinema esattamente come si era entrati: questi 105 minuti, anche a voler considerare Pompei come un action movie simpaticamente ottuso, non regalano nulla.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie